EDITORIALE – Il problema Guarin
Anche ieri sera l’Inter ha disputato una partita con sprazzi convincenti solo per metà del tempo totale. A un approccio alla gara troppo molle si sono uniti un esperimento tattico naufragato dopo nemmeno un tempo (Dodô tendenzialmente esterno alto che si scambiava frequentemente con Nagatomo) e una difesa ancora una volta schiava delle sue ansie e delle sue paure, incapace non solo di andare oltre i propri limiti strutturali ma anche di contenere gli avversari sulle uniche due situazioni pericolose (due i tiri in porta della Lazio al novantesimo. Due i gol) create dagli avversari di giornata. Probabilmente sia la difesa alta, sia i tridenti improvvisati sono due lussi che la squadra, al momento, non si può proprio permettere e lo stesso Mancio dovrà seriamente valutare a come mettere la materia che ha tra le mani nelle migliori condizioni possibili per ottenere il gioco che vuol vedere e, magari, fare risultato: sia chiarissimo, il tecnico jesino ha una sua bella porzione di colpe per l’atroce spettacolo del primo tempo.
Per fortuna nel secondo tempo è salito in cattedra Kovacic, capace di cambiare la temperatura emotiva di un match che stava avvicinandosi in maniera preoccupante a un tracollo annunciato con tanto di discesa nel dirupo della disperazione a fari spenti: quando il giovane croato ha azzeccato quell’eurogol spaventoso tutto ha iniziato a invertirsi in campo, partendo dall’inerzia della sfida fino ad arrivare ai cuori dei compagni che, quasi senza nessun altro motivo, hanno cominciato a crederci. Il pareggio poi è stato frutto dei continui tentativi nerazzurri, sempre dettati dal cuore più che dalla testa in realtà, i quali hanno pressato la difesa della Lazio con un’intensità sconosciuta nei minuti precedenti e sono arrivati infine al 2-2, come si diceva poc’anzi, più con la forza di volontà e con il carattere che non col gioco. Ma tant’è.
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In realtà, tra le tante note dolenti di ieri, c’è un giocatore in particolare che, ultimamente, sembra nuovamente turbare i sonni dei tifosi della Beneamata, che paiono ormai agli sgoccioli della pazienza con lui: Fredy Guarin. Ora, è evidente che il ragazzo sgobba, suda, lotta e combatte, in altre parole, ci prova. Ma, nonostante la fiducia che Mancini gli sta accordando in lungo e in largo da quando è tornato ad Appiano, è palese che il colombiano ne stia azzeccando davvero poche in campo. Il pubblico di San Siro se n’è accorto e, sempre ieri sera, al momento della sostituzione l’ha fischiato selvaggiamente come ormai non capitava più da tempo. Il numero 13, infatti, soprattutto dopo il tira e molla di un anno fa con la Juventus, sembrava essere riuscito a riappacificarsi con i tifosi e, probabilmente, c’era riuscito davvero. Ma gli errori gratuiti ripetuti e le inadempienze tattiche reiterate l’hanno ributtato nell’occhio del ciclone, al netto comunque di un impegno che in partita, oggettivamente, non pare gli manchi.
Ieri, però, la prestazione è stata un serio disastro. Dando un veloce sguardo alle statistiche della gara, salta subito all’occhio l’imprecisione dei passaggi del colombiano, un fatto noto ai tifosi dell’Inter nonostante lo stesso giocatore abbia fama di assistman, la quale rappresenta comunque un grosso ostacolo anche per il tipo di trame fitte e di gioco di squadra che lo stesso Mancini ha in mente: avere un impianto di manovra votato a offendere mediante il possesso palla non può prescindere dall’avere calciatori in grado di effettuare passaggi precisi, dai più elementari ai filtranti ad alto rischio di errore. Ecco, Guarin, al momento, non offre alcuna garanzia in questo senso.
Il trattino in azzurro chiaro segnala l’unico passaggio che ha generato una chance per l’Inter. Notevoli anche i due passaggi sbagliati vicino al centrocampo, visibili nell’immagine a destra. Come vedremo, la tendenza a perdere la sfera dalle parti del cerchio del centrocampo è una costante poco simpatica delle gare del colombiano. Altra costante sono i tentativi a vuoto di servire un compagno in area: anche ieri sera solo due volte il Guaro ha pescato un compagno nei sedici metri avversari.
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Contro la Lazio, il Guaro ha completato solo un terzo dei passaggi tentati nella trequarti avversaria e solo uno di questi è risultato essere decisivo per la creazione di una chance concreta; di più, di tutti i passaggi in avanti tentati (tralasciando quindi quelli a lato e all’indietro, poco significativi per la manovra offensiva), il numero 13 ne ha messi a segno poco più della metà. Degli otto tentativi andati a finire preda della Lazio, occorre rimarcare i tre errori commessi dalle parti del centrocampo, i più sanguinosi: perdere il controllo del pallone in quella zona equivale, spesso e volentieri, ad aprire il fianco al contropiede, specialmente se i terzini giocano molto alti come in quest’Inter. Il discorso diventa quasi tragico se poi si considerano i tentativi di cross: solo uno su quattro è infatti finito tra i piedi di un compagno; altro leit motiv, nonché la ragione per cui Guarin è ormai famoso e preso in giro, è quello dei tiri fuori bersaglio: ieri sera solo una delle cinque conclusioni tentate è finita nello specchio della porta.
Andrebbero messe sotto inchiesta anche le scelte che Guarin fa in sede di passaggio. Sei retropassaggi a Ranocchia, difensore centrale, e cinque a D’Ambrosio, terzino, quando al compagno di reparto Kovacic ha appoggiato il pallone appena due volte in 90′ (che implicitamente vuol dire non aver mai neanche pensato, per esempio, a un triangolo), e a Kuzmanovic appena una in più. Più comprensibile un Palacio cercato e trovato quattro volte ma, da qualunque lato la si voglia vedere, questo quadro lascia un po’ perplessi sull’adattabilità del #13 a un gioco basato sul possesso del pallone.
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In generale, il colombiano è un elemento che cerca quasi sempre la giocata singola, spesso e volentieri rischiosa, e che si appoggia poco ai compagni: frase poco nuova ma sempre attuale quando si parla di lui, specialmente in un contesto come quello di adesso, dove Mancini chiede spesso ai suoi la verticalizzazione. Ecco, Guarin è il tipico esempio di giocatore che, vicecersa, andrebbe invece limitato nella ricerca della profondità perché, per quanto sia lodevole cercare i ficcanti profondi per gli attaccanti (aspetto del gioco quasi mai visto nell’ultimo anno solare), il passaggio filtrante presenta notevoli rischi anche per il più preciso dei “passatori”, figuriamoci per il povero centrocampista ex Porto. Anche nel dribbling o, in generale, nell’uno contro uno, probabilmente il fondamentale che gli riesce meglio, Guarin manifesta la sua tendenza a strafare e a cercare la giocata in punti dove forse un atteggiamento conservativo sarebbe preferibile: dei quattro take-on tentati contro la Lazio nelle vicinanze nel cerchio di centrocampo gli è andata bene che gliene riuscissero tre. Ancora una volta, un pallone perso in quel punto del campo sarebbe stato oro puro per i mediani biancocelesti. Tuttavia va anche sottolineato che la fisicità che permette al colombiano di andar via agli avversari è un’arma in fase difensiva, perché il 13 nerazzurro riesce spesso e volentieri a farsi valere nei contrasti e a recuperare palloni (che però, poi, tende a sprecare).
Cosa sarebbe successo a San Siro se di quei quattro dribbling nel cuore del centrocampo non gliene fosse riuscito nemmeno uno?
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Il problema vero, purtroppo, è che non è “una fase della sua evoluzione”, questa di Guarin, quanto piuttosto il fedele specchio dell’attuale stato di un giocatore che pare non riuscire più a pensare compiutamente mentre gioca. Quella contro la Lazio è infatti stata solo l’ultima di tre gare poco positive del giocatore: anche contro Udinese e Chievo non ha certamente brillato, nonostante l’assist per Icardi fatto registrare proprio contro i friulani. A far da contraltare a quel bel lancio verticale e a un altro suggerimento pericoloso in piena area avversaria, infatti, ci sono anche le solite quantità immani di palloni buttati via, specialmente con i cross dalla fascia, grazie ai quali il colombiano ha probabilmente cercato di riscrivere la storia dei record negativi del fondamentale.
I cross dell’ex Porto contro l’Udinese: troppo brutti per essere veri.
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Anche a Verona, nonostante un avversario modesto tecnicamente e fuori gara mentalmente dopo il raddoppio di Ranocchia, pur migliorando nelle percentuali di passaggi compiuti, il Guaro ha mancato di precisione nelle zone dove sarebbe servita di più: dei diciotto passaggi riusciti verso la trequarti clivense, uno solo (su diciotto!) ha raggiunto il compagno in area. Gli altri che sono andati a segno sono stati raccolti fuori dai sedici metri avversari, mentre quelli diretti dalle parti di Bizzarri sono stati tutti intercettati (peraltro solo tre sono stati i tentativi di servire un compagno nel cuore della difesa avversaria; anche qui troppo pochi, specie considerando la natura del match). Infine, come non citare la tendenza a commettere ingenuità in mezzo al campo, proprio laddove fa più male? Osservando gli scambi coi compagni effettuati a centrocampo, si nota che ben tre dei sei passaggi in avanti non sono mai arrivati a un altro giocatore dell’Inter nonostante fossero corti o apparentemente semplici, solo quelli all’indietro o a lato sono arrivati tranquillamente a destinazione.
Quando si gioca in una squadra che soffre maledettamente il gioco avversario tra la propria linea difensiva e quella della mediana, perdere palla a un metro dal cerchio di centrocampo non è una buona idea.
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Ora, le statistiche nel calcio non sono tutto, anzi: contano anche l’impegno, il carattere, il cuore, il talento individuale, la fantasia – che spesso fa a pugni con la razionalità dei numeri – e la fortuna nell’economia di una partita o di una stagione. Tuttavia possono dare qualche indicazione di massima e, in questo caso, confermano l’impressione che Guarin non stia riuscendo a esprimersi al meglio di recente, nonostante con Mancini abbia ritrovato quella stabile titolarità che con Mazzarri non pareva avesse mai avuto. Questo test fallito, con l’appropinquarsi del mercato di gennaio, fa del colombiano uno degli elementi più a rischio uscita della rosa intera nonostante lo stesso tecnico jesino continui a definirlo come “giocatore importante”; in più, se si considera che Hernanes è guarito e ha recuperato del tutto dai problemi fisici che lo avevano tormentato e, chiaramente, smania per tornare in condizione quanto prima (anche se, adesso, dovrà attendere gennaio, visto che adesso ci sarà la pausa) a brevissimo ci sarà un concorrente in più per il 13 nerazzurro.
Pausa che peraltro potrebbe portare con sé molte riflessioni, delle quali Guarin farà inevitabilmente parte: chissà, dopo tre anni di alti (non tantissimi) e bassi (decisamente qualcuno di troppo), forse potrebbe essere giunta l’ora in cui il colombiano lascerà Milano davvero. E, a questo punto, ci sentiamo di escludere che stavolta la direzione possa essere Torino.