EDITORIALE – Sperando nell’anno uno
Il consueto editoriale del lunedì sera, questa volta incentrato sulle oggettive prospettive di crescita che l'Inter di Mancini, nonostante tutti i suoi difetti, ha ancora. Sperando - ovviamente - che l'ambiente non imploda a seconda dell'esito finale di questo campionato, che non si smantelli la squadra per l'ennesima volta e che si riesca a trovare sul mercato ciò che ancora manca. Dopo di che gli alibi saranno davvero esauritiLa solita cara vecchia Inter, umorale e schizofrenica come poche, è rispuntata fuori sabato scorso. Dopo il ko sconcertante patito contro il Torino e l’aberrante vittoria contro il Frosinone, i nerazzurri si sono imposti contro il Napoli nel big match dello scorso 16 aprile ribaltando tutti i pronostici. È infatti tornata in campo la squadra quadrata, aggressiva e feroce ammirata a tratti lungo il corso dell’anno, proprio in un momento in cui la rosa pareva invece essere demotivata, vuota, stanca e rassegnata. L’ennesimo coup de théâtre di un’annata poco lineare, stracolma di alti e bassi sia per quanto concerne i risultati, sia le prestazioni – e non sempre con gli abissi dei primi sono coincise le seconde, peraltro.
La Serie A 2015/2016 non s’è ancora conclusa, ovviamente, e tutto è ancora possibile: dalla remotissima ipotesi di qualificazione in Champions League (quasi infattibile, siamo onesti) a un ancora matematicamente possibile ancorché improbabile sesto/settimo posto che significherebbe l’esclusione da tutto.
Ciò nonostante, il vero obiettivo dell’attuale stagione – al di là di qualunque piazzamento europeo raggiungibile – era la creazione di una solida base tecnico-tattica, di un nucleo stabile da portarsi dietro anche per il prossimo anno, quello sì considerato come quello del riscatto definitivo e della consacrazione finale (tanto dai piani alti della dirigenza quanto dall’allenatore marchigiano). Queste fondamenta di capitale importanza erano imprescindibili perché si potesse edificare qualcosa di più di un semplice “vivere alla giornata” o “fare le nozze coi fichi secchi” (due proverbi che hanno visibilmente segnato tutte le ultime stagioni sotto la Madonnina) e costituiscono il concetto basilare di ciò che spesso viene chiamato progetto. Solo un osservatore in malafede potrebbe contestare a Roberto Mancini un certo (e non indifferente) aumento complessivo del livello della squadra nonostante la mancata costruzione di un gioco riconoscibile e funzionale: l’ex mister del City, al netto dei tanti errori commessi e di alcune valutazioni grossolanamente sbagliate, s’è fatto carico dei problemi nerazzurri ed è riuscito a far rialzare la testa all’Inter, perlomeno considerando i singoli valori assoluti dei calciatori presenti in rosa (decisamente più forti di quelli a disposizione di un Mazzarri, per dirne uno).
Ci è probabilmente riuscito a metà, invero: se da un lato ha certamente individuato tanti possibili titolari per il prossimo anno nonché più di una riserva (al momento, i nodi principali restano il terzino sinistro, dando per scontata la non conferma di Telles, e la presenza in rosa di un centrocampista di costruzione, profilo assente dai tempi di Thiago Motta), è altrettanto innegabile che abbia più che parzialmente fallito nel dare un’identità di gioco al suo gruppo. Del resto non è storia nuova: è tutto l’anno che l’Inter dipende ciecamente dall’ardore agonistico e dalla disponibilità al sacrificio che può mettere in campo, così come non è mai riuscita a dimostrare di avere anche solo uno straccio di canovaccio stabile per lo sviluppo della manovra. La situazione finale parla comunque di una rosa quasi completa e di un buon lavoro fatto sulla difesa, il reparto meno stabile e più traballante dalla seconda metà del 2011 a oggi. Certo, manca ancora un gioco decente che possa ovviare alle eventuali mancanze dei singoli o alle giornate di scarsa inventiva di quelli che sono i cervelli della squadra ma, del resto, Roma non è stata costruita in un giorno. E l’Inter è persino più psicotica dell’Urbe capitolina (intesa come città e non come squadra di calcio).
Tuttavia è anche oggettivo che il Mancio è riuscito laddove Mazzarri, Stramaccioni, Ranieri e compagnia avevano bellamente fallito: il tecnico jesino ha finalmente ridato all’Inter uno straccio di futuribilità, cioè dei margini di miglioramento e di crescita. E certamente si può far rientrare nel discorso la variabile del gioco corale: i titolari dell’Inter arrivati la scorsa estate si apprestano a disputare la seconda stagione in nerazzurro senza più bisogno di adattarsi all’Italia e al campionato tricolore, Mancini ha avuto tutte le chance per sperimentare diversi sistemi di gioco e moduli così come ha potuto conoscere a fondo il materiale umano a disposizione e farsi delle idee chiare su quello che può essere l’apporto di ognuno dei suoi ragazzi, al punto che ora non ha più alibi per costruire qualcosa di tangibile e non estemporaneo anche a livello di costruzione. E non dimentichiamo che può ancora sfruttare le possibilità che dà il mercato per portare a casa un paio di “pezzi” a sua scelta che si incastrino perfettamente nella scacchiera da lui ideata.
In fondo, possiamo ascrivere al mister marchigiano anche un altro merito, cioè l’essere in corsa per qualcosa di (molto) bello – seppur solo “matematicamente” – a metà aprile. Che, per come abbiamo visto andare le cose negli ultimi cinque anni, è già qualcosa. Ovviamente, per concludere degnamente la transizione da “anno zero” ad anno uno e aiutare così Mancini e i suoi ragazzi a maturare, anche l’ambiente del Biscione tutto dovrà dare il suo contributo: i tifosi evitando di dare di matto qualunque sia il risultato finale di questa stagione, mentre la società dovrà sostenere il mister e cercare di resistere alle sirene esterne (leggasi: eventuali belle offerte per i giocatori chiave della rosa) nonché alla tentazione di smantellare e ricostruire ancora una volta il parco giocatori.
Altrimenti saremo di nuovo da capo. E da queste parti, perlomeno, siamo anche un po’ stufi di prospettarci l’ennesimo anno zero/rivoluzione/reset/restart ogni estate.