EDITORIALE – Piccoli passi avanti
Due vittorie nel giro di pochi giorni, sei gol fatti e uno subito non sono un modo cattivo per uscire dalla crisi. L’Inter vista contro il Palermo, seppur non rappresenti un upgrade a livello tattico, ha senz’altro il merito di aver rimesso in vetrina due giocatori fondamentali come Icardi e Perišić, entrambi a segno ed […]Due vittorie nel giro di pochi giorni, sei gol fatti e uno subito non sono un modo cattivo per uscire dalla crisi. L’Inter vista contro il Palermo, seppur non rappresenti un upgrade a livello tattico, ha senz’altro il merito di aver rimesso in vetrina due giocatori fondamentali come Icardi e Perišić, entrambi a segno ed entrambi fondamentali per le sorti nerazzurre in questo finale di stagione.
Certo, il disordine regna ancora sovrano e la coerenza della manovra collettiva, in maniera del tutto paradossale, grava ancora sulle spalle delle iniziative dei singoli ma perlomeno dagli avanti sono giunte notizie positive, domenica sera. La fase difensiva, invece, è stata ancora una volta approssimativa e non tanto per le occasioni concesse – perché pensare di non subire un singolo tiro in porta, seppur contro un avversario in crisi, è pura utopia in Serie A – ma piuttosto per la concentrazione del reparto e la sensazione complessiva che ha dato, apparso in difficoltà specialmente sulle fasce e non brillantissimo in mezzo – Miranda sotto i suoi comunque altissimi standard. D’Ambrosio ha confermato il suo poco simpatico trend recente di una partita di livello sì e una no, Nagatomo lascia le consuete voragini dietro di sé ma, al di là delle singole prestazioni degli esterni bassi, è il centrocampo a due a dimostrare più degli altri comparti una debolezza strutturale ancora evidentissima (e questo nonostante Kondogbia e Medel abbiano giocato rispettivamente una partita buona e una accettabile) che spesso manda in confusione anche gli altri giocatori. Il punto è che il reparto segue a soffrire tremendamente la fase di impostazione e la circolazione di palla rimane vaga e incerta, con gli attaccanti sempre molto lontani, i terzini che offrono linee di passaggio pulite o troppo in anticipo o troppo in ritardo e con il giocatore addetto all’aiuto nell’impostazione (domenica Ljajić) che non sempre si rende disponibile tra le linee come dovrebbe.
La situazione, dunque, non è ancora rassicurante perché si è tornati a vincere, è vero, ma la solidità granitica di inizio stagione – a questo punto irrinunciabile senza un gioco organizzato e tutto fa pensare che quest’ultimo non ci sarà mai – è ancora un pallido ricordo e va riconquistata il prima possibile. Un po’ perché tra due settimane c’è lo scontro diretto con la Roma, ormai l’ultimissima chiamata per un eventuale terzo posto, un po’ perché già questo sabato verrà a San Siro il Bologna, squadra organizzatissima e dotata di alcune individualità degne di nota (da un Giaccherini molto in forma agli interessantissimi Diawara e Donsah) che costituirà il vero banco di prova per l’Inter attuale nell’attesa della trasferta romana – e forse ancora di più, per assurdo. Va da sé che senza i tre punti con i felsinei la gita nella capitale diverrebbe una semplice formalità.
Teniamoci stretti i piccoli passi in avanti fatti con la Juventus e con il Palermo ma è vietato pensare che siano i segnali di una rinnovata salute né, tanto meno, che diano indicazioni affidabili in campi diversi dall’abnegazione, dallo spirito di sacrificio e dall’atteggiamento (che comunque non sono poco) perché, a livello tattico e di gioco, si è ancora in altissimo mare. A questo punto a Mancini conviene insistere proprio sulla rinnovata cattiveria, sulla nuova voglia di mettersi in gioco e sulla ricerca di una freschezza atletica che, a febbraio, pareva del tutto scomparsa.
Inizia il rush finale: all’Inter spetta il compito di non renderlo superfluo già dopo due sole partite.