EDITORIALE – Partita dopo partita, come dicono sempre tutti (ahinoi)
Torna il consueto editoriale del lunedì sera per voi affezionatissimi, il cui mirino è ben piazzato sulla necessità assoluta di staccare la spina a ogni ragionamento di classifica e di obiettivo finale, argomenti che - al posto di caricare - svuotano completamente l'autostima dell'Inter. Bisogna ripartire da una frase noiosamente retorica ma, in questo caso, estremamente veraL’Inter non ha fatto una buona partita contro il Benevento, proprio no. E no, non è stata nemmeno un passo avanti rispetto all’indecorosa prestazione di Genova, anzi: è stata una gara condotta persino peggio rispetto a quella fatta contro i rossoblù perché contro gli uomini di Ballardini il Biscione ha sofferto pochissimo a livello difensivo mentre invece i campani sono arrivati in porta in almeno tre o quattro occasioni e solo un buon Handanović, un Ranocchia formato kamikaze e la non troppo irreprensibile mira di Coda e compagni hanno concesso ai nerazzurri di uscire da San Siro con un clean sheet che certamente non la dice tutta sulla tenuta difensiva della squadra.
Già, di squadra, perché – paradossalmente – l’Inter ha sofferto difensivamente quasi in ogni elemento tranne che nei difensori centrali, in ritardo solo in un’occasione (quel ficcante pazzesco di Brignola che ha messo in porta proprio Coda, il quale ha poi sparacchiato troppo alto) nonostante siano stati sollecitati spesso. Škriniar e Ranocchia sono infatti stati i migliori in campo al di là dei due gol, avvicinati forse dal solo Cancelo che, pure, solo nel secondo tempo ha spinto nel modo in cui normalmente gli compete. La verità è che la fase difensiva nel suo complesso sta peggiorando e non è solo questione della mancanza di Miranda. Tutta la squadra rimane sempre troppo bloccata nelle sue posizioni di partenza tanto in fase di possesso quanto quando il pallone ce l’hanno gli altri: il terrore assoluto di sbagliare qualcosa azzera ogni tipo di iniziativa off the ball dei giocatori, sia questa una corsa verso la porta avversaria, una sovrapposizione, un ripiegamento o una diagonale. E così diventa tutto più difficile.
Ma, soprattutto, si torna al nucleo del discorso della settimana passata: la paura è ormai una compagna inscindibile dell’Inter ogniqualvolta scende in campo. Sembrano non esserci antidoti né rimedi di sorta, tanto a breve quanto a lungo termine, anzi; più la squadra pensa alle conseguenze sull’obiettivo finale che potrebbero avere una sconfitta o un intoppo, più si intruppa nella spirale autodistruttiva dell’immobilismo dovuto al più puro terrore. Dunque la mentalità giusta si può recuperare solo vincendo, giocando sempre un po’ meglio e rivincendo: come ha detto qualcuno la scorsa stagione, non c’è altra strada. Ed è verissimo.
Probabilmente, l’unica strategia che in questo frangente delicatissimo – perché, non bisogna scordarlo, la prossima partita vede sul tabellone il nome del Milan e, in questo preciso momento storico, il Milan sta bene almeno tanto quanto l’Inter sta male – non può essere altra che quella di pensare di partita in partita. Sì, è quello che dicono sempre tutti: sia chi viaggia verso lo scudetto con trentasei punti sulla seconda, sia chi insegue pur trovandosi a –25 dalla salvezza a fine aprile. Però per l’Inter non c’è alternativa perché pensare sul lungo può solo accentuare la tremarella invincibile che ha preso i vari giocatori fin da quel maledetto dicembre (e non è mica detto che vietare al gruppo di fare proiezioni e ragionamenti di punti basti a far sì che la mente non vada a finire proprio lì. Certamente sappiamo che un obiettivo che diventa più o meno impossibile può solo far spegnere completamente la rosa e privarla del suo – sic – mordente. È già successo).
Spalletti ha spiegato che aver concentrato i risultati positivi prima e ammassato quelli negativi poi ha creato scompensi emotivi allo spogliatoio (una fragilità tristemente endemica, su questo ha avuto ragione Mancini e fa strano ripensarci, oggi), che probabilmente avrebbe retto meglio le ansie da alta classifica se avesse diluito i risultati, per citare letteralmente l’uomo di Certaldo.
Ma a fare discorsi col senno di poi sono bravi tutti e la situazione attuale va presa come un dato di fatto senza incaponirsi troppo sulle cause (sarebbe un esercizio sterile, alla fine della fiera, perlomeno adesso). Quel che ora conta è pensare alla partita che verrà semplicemente come 90 minuti al termine dei quali bisogna aver vinto, senza alcuna implicazione di classifica né alcun calcolo. Certo, iniziare un esercizio mentale di questo genere proprio il giorno del derby è difficilissimo. Ma è la stessa Inter che ha creato questa situazione e, adesso, è chiamata a uscirne. Altrimenti sarà mediocrità invincibile, una volta di più.
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DOLCI RICORDI, IL DERBY DEL GENNAIO 2010