EDITORIALE – Quattro is meglio che tri ma lo scudetto anche no
Il consueto editoriale del lunedì sera, stavolta incentrato sui miglioramenti tra derby e Chievo e su una parola tabù che ha già iniziato a ondeggiare e a rimbalzare tra media e tifosi, anche se (forse) si può liquidare con una semplice risataUn vecchio spot con un giovanissimo Stefano Accorsi (prima che dalle sue idee si diffondessero fiction per Sky e chissà che altro) diceva che “Due is meglio che uàn”; oggi, guardando alla classifica di Serie A, vien voglia di rispolverarlo aggiornandolo alla situazione dell’Inter, reduce dalla quarta vittoria consecutiva e ancora sorprendentemente prima a punteggio pieno. Sorprendentemente perché non era affatto scontato che il Biscione arrivasse a preparare la quinta partita di campionato con alle spalle un poker di successi a prescindere, considerando quanto è stata rivoluzionata la rosa; inoltre va considerato che il percorso fin qui netto in classifica è stato realizzato mietendo vittime quali il rinnovato e combattivo Milan di Mihajlović e il coriaceo ChievoVerona di Maran, una delle squadre attualmente più in forma d’Italia. Certo, non vuol dire ancora niente, ma è innegabile che il derby e la trasferta al Bentegodi fossero due partite perlomeno ostiche che, con tutta probabilità, l’Inter non avrebbe vinto lo scorso anno.
Il miglioramento di questa settimana – c’è stato rispetto al derby, anche se la gara va analizzata a fondo per accorgersene – è lo sviluppo in meglio della dinamica di inizio dell’azione, con Kondogbia più libero di scendere tra i centrali per iniziare la manovra e con Felipe Melo già abile a leggere i movimenti del compagno, ai quali fa corrispondere un’azione sempre complementare: l’esito finale è che i due stanno abituandosi a scambiarsi vicendevolmente la posizione per garantire un’uscita dal pressing più semplice ai loro compagni. Certo, da qui ad arrivare a una manovra che si possa definire “fluida” manca ancora un bel tratto di strada, ma i segnali sono incoraggianti. Un miglioramento per quanto riguarda l’impianto di gioco – come non ci stuferemo mai di ripetere – resta comunque obbligatorio perché solo la qualità di manovra può dare risultati sul lungo periodo e l’Inter attuale è una squadra in grado di macinare punti solo nel breve perché non si può sperare di arrivare bene a maggio con questa povertà creativa. Tuttavia, come detto, i segnali sono incoraggianti.
Merita peraltro un approfondimento anche tutta la vicenda relativa alle chiacchiere attorno alla parola tabù che inizia per “s” e termina con “cudetto”: il web a tinte nerazzurre s’è dimostrato ancora una volta succube dei media che – giustamente, se si considera che hanno la necessità stringente di parlare di qualcosa ventiquattro ore al giorno – hanno iniziato a ipotizzare che quest’incarnazione dell’Inter possa effettivamente competere per il tricolore. Com’è prevedibile, i tifosi si sono immediatamente divisi in più fazioni che, con le dovute approssimazioni, si riducono a tre: i possibilisti, personaggi di indole inguaribilmente ottimista troppo felici che accanto al sintagma “Inter” sia riapparso il sintagma “scudetto”; i negazionisti, che ripetono come se fosse un mantra la locuzione “Champions League” quando si arriva a parlare di obiettivi a lunga scadenza (come peraltro ha recentemente fatto anche Guarín); gli oltranzisti, che per ora cercano di non pronunciarsi, anche solo per mantenere un minimo di lucidità di fronte ai vari strattoni che cercano di tirare dall’una o dall’altra parte. A fare da denominatore comune per tutti, grazie al Cielo, c’è per ora una grande ironia, che puntualmente stempera gli ardori anche dei più estremisti: del resto si sa, quando le cose van bene la tifoseria è troppo felice per indurre in psicanalisi approfondite.
La verità di fondo che, come sempre, esiste anche in questo caso è che – banalmente – è ancora troppo presto per parlare di scudetti, tricolori e feste in piazza Duomo. Perché se è innegabile che l’Inter ha fatto il 100% dei punti disponibili finora e quindi sta mantenendo una media punti da titolo (bella forza dopo quattro giornate!), lo è altrettanto che, con trentaquattro sfide ancora da giocare, siamo ancora più che all’inizio. Per fare un paragone letterario, è come se pensassimo che un libro è meritevole del Nobel alla letteratura dopo averne letto la prefazione e le prime quattro pagine del capitolo introduttivo, nelle quali il protagonista è appena apparso ma ancora non sappiamo nulla di lui. E, in un certo senso, questo vale anche per la Beneamata del Mancini 2.0: le gare con Atalanta, Carpi, Milan e Chievo sono un materiale troppo scarno perché si possa dire di conoscere quest’Inter.
Nel frattempo, mentre aspettiamo che una nuova luce illumini questa squadra e ci consenta di scoprirla in tutta le sue sfaccettature, tra i tanti (speriamo) pregi e gli inevitabili difetti, godiamoci il tragitto. Anche perché, attualmente, si sta viaggiando in prima classe e a una velocità di crociera elevata; sarebbe un peccato perdersi il paesaggio.