EDITORIALE – #lannodiMateo
Già, leader. Una parola impegnativa per un classe 1994, una parola impegnativa per l’universo nerazzurro in generale. Spesso e volentieri, infatti, lo scorso anno si è sottolineata la mancanza di una guida tecnica all’interno della squadra, l’uomo che con le sue giocate e le sue idee potesse comunicare ai compagni che “oggi si vince senza problemi, ci sono io, andiamo a prenderci i tre punti”. Questo ruolo di primo piano difficile ma gratificante non può che toccare proprio a Kovacic, colui che è stato l’ultimo investimento a lungo termine veramente oneroso del Biscione (tutti gli altri giovani, Icardi compreso, sono arrivati con formule che potessero consentire alla società di liberarsi dei vari giocatori nel caso non avessero reso secondo le aspettative: la dimostrazione più lampante è stata il caso Belfodil). O almeno, così pensano in tantissimi, chi scrive incluso, sperando che la pressione sulle spalle del balcanico non si riveli un boomerang terrificante.
Hernanes è un giocatore esperto e decisamente bravo ma non si può dire che “l’Inter del futuro” sia costruita su di lui: il brasiliano è stato acquistato per essere il presente, per poter essere competitivi sin da subito. Icardi ha tutte le qualità per essere un grande bomber ma l’anno passato è stato di assestamento e il giovane puntero argentino non ha giocato abbastanza per potergli consegnare le chiavi della compagine. Medel e Vidic sono appena arrivati e comunque giocano in posizioni troppo “sacrifcate” per prendersi la responsabilità di tenere il pallone e decidere cosa farne (inoltre è quasi superfluo dire che non ne avrebbero comunque le caratteristiche). Palacio e Handanovic sono probabilmente gli unici due veri top player della Beneamata lo scorso anno ma giocano in ruoli in cui non possono risultare influenti al 100% sui compagni perché a loro volta dipendono troppo da chi gioca al loro fianco: il primo, per quanto scenda in basso a recuperare il pallone, può benissimo trovare una partita in cui non gli capiti alcuna azione giocabile così come il portierone sloveno può anche disputare un match da migliore in campo ma se la difesa davanti a lui non regge si perde nella stragrande maggioranza dei casi.
Il ruolo di Mateo invece è perfetto: in mezzo al campo, senza il rischio di non poter toccare il pallone o quello di trovarsi solo a fronteggiare quattro avversari in fase di ripiegamento, con il potere di poter dettare i ritmi decidere a che velocità andare. Certo, anche lui dipende dai compagni come ogni altro calciatore ma, per esempio, se nessuno degli altri giocatori nerazzurri si lancia in profondità per farsi servire nello spazio, Kovacic può benissimo optare per una discesa personale (o il contrario, naturalmente), un dribbling o una serpentina che, riuscendo, possono cambiare l’umore non solo di chi sta vestendo i suoi stessi colori ma anche quello di uno stadio intero. Le qualità sono immense e Mateo va responsabilizzato.
Ma prima ancora delle responsabilità, al nostro numero 10 va dato tanto, tantissimo amore. Non dev’essere crocifisso al secondo passaggio sbagliato di fila, non va fischiato dopo un tiro alle stelle, no: uno con quella classe e, soprattutto, quell’età va sempre e solo applaudito. Il potenziale enorme di Kovacic può infatti uscire solo se Mateo si sente le spalle coperte, perché ormai è palese che il ragazzo non è un duro (per quel personaggio ci sono già i vari Handa, Medel, M’Vila, Vidic) e, anzi, ha bisogno di sentirsi apprezzato a prescindere per rendere al meglio. In primis dall’allenatore che, si spera, non lo metta in discussione ma al centro del progetto di gioco.
E dunque, caro mister Mazzarri, dia una mano anche lei a Kovacic affinché Mateo possa essere davvero il leader tecnico della squadra. Sia lei l’artefice di una stagione che, tutti speriamo, possa essere ricordata come #lannodiMateo.