EDITORIALE – La differenza la fa sempre il Trenza
di Giorgio Crico.
Il derby vinto, il terzo posto a cinque punti, un mercato di gennaio da sognare e in cui sperare. Tutto questo regalano i 90′ passati col fiato sospeso ieri sera, la solita “dote” di ottimismo che un derby vinto porta con sé. Ogni derby vinto. Non importa se con un gol di coscia (Christian Vieri, do you remember?) o di stinco, figurarsi con un colpo di tacco. Quel colpo di tacco. Perché quella genialata, quel colpo da assoluto top player, non a caso è arrivato dall’unico vero fenomeno di casa Inter, Rodrigo Palacio.
Arrivato a Milano un anno e mezzo fa in punta di piedi, don Rodrigo doveva essere il partner ideale di Diego Milito: purtroppo, con le defezioni continue del Principe, più che con Milito, Palacio ha giocato da Milito, realizzando qualcosa come 34 gol in appena 57 partite con la maglia nerazzura. Mostruoso. Esattamente come la prodezza di quasi 24 ore fa, soprattutto se si considera l’importanza della gara e la mole di corsa sostenuta dal numero 8 per tutta la durata del match.
Alla fine, il derby l’ha vinto lui quasi da solo, dimostrando al ragazzino col numero 45 che giocava con gli altri cosa significa essere un campione: non necessariamente nascere calcisticamente nell’Inter e fare un Triplete a nemmeno vent’anni fa di te un fuoriclasse. A volte lo si è da sempre, solo che gli altri se ne accorgono tardi. E quindi ben vengano l’Huracan, il Banfield e finalmente il Boca, trovato a 23 anni: il gotha del calcio argentino Rodri l’ha raggiunto all’età in cui Balotelli si apprestava a iniziare questa stagione col Milan, investito del titolo di “uomo-squadra”. Palacio non è arrivato nel club più titolato dell’altro mondo giovanissimo, certo, ma com’è nel suo stile, se l’è guadagnato con lavoro, impegno e gol. Magari non tantissimi ma costanti. Col Boca Juniors però la musica realizzativa cambia: quattro anni e mezzo da Xeneizes e, a fine anno, sempre almeno in doppia cifra (e giocando da seconda punta, non da centravanti).
Poi, la svolta italiana. Dopo anni di corteggiamento, Preziosi riesce finalmente a portarlo in Italia, al Genoa. In Serie A, a 27 anni suonati, Rodrigo impara un’altra lezione fondamentale: quando si scende in campo non lo si fa solo per segnare, ma anche per difendere. Un primo anno di assestamento, un secondo di problemini fisici e tanta corsa sulla fascia e poi l’esplosione: 19 gol nel 2011/2012 e salvezza rossoblù costruita semplicemente su di lui. Lui, che in Argentina aveva vinto tanto, aveva vinto tutto. Arrivato in Italia non ha disputato la Champions, non ha lottato per lo scudetto… Ma ha combattuto per non retrocedere, con la consueta umiltà e professionalità. Qualità che l’Inter nota e, ormai 30enne, lo porta a Milano.
Il resto è cronaca: il Biscione scopre un nuovo beniamino, un uomo che fa sventolare la sua treccina a destra e sinistra, firma peculiare e personalissima del ragazzo di Bahia Blanca, tanto che ormai lui è El Trenza. Chissà, forse il segreto del suo talento è proprio lì, come un Sansone post-moderno, oppure, più semplicemente, il talento ce l’ha perché mentre attorno a lui scintillavano paillettes e lustrini, tanti soldi e i trofei sudamericani vinti, Palacio è rimasto umile e laborioso.
Sinceramente, va ringraziato il Dio del calcio che ispirato a Rodrigo la decisione di conquistare anche l’Europa. Forse, per adesso, il Vecchio Continente non se l’è ancora preso, ma l’Inter senz’altro sì. E noi ne siamo entusiasti. Perché, quando gioca la Beneamata, la differenza la fa sempre El Trenza.