EDITORIALE – L’incertezza del fallimento
Il consueto editoriale del lunedì sera, inesorabile come lo sciroppo amarissimo per chi ha quell'influenza brutta che si ostina a non passare dopo svariati giorni a letto. E le solite domande esistenziali, ovviamenteNon scopriamo oggi che la stagione dell’Inter sia finita. E non è finita ieri sera. È finita ormai da un pezzo, dalla sconfitta con la Sampdoria almeno. Per quanto riguarda la lotta per la Champions League, quanto meno. Certo, rimaneva quella per l’accesso diretto all’Europa minore, l’ex Coppa UEFA, ma – nonostante i proclami pubblici – pare che l’articolo interessi molto poco, perlomeno giudicando da quello che si vede in campo.
Certo, la stagione è iniziata con un handicap enorme, l’ormai famigerato cambio in panchina tra Roberto Mancini e Frank de Boer, e ad aggiungere sale sulla ferita ci ha pensato l’inesistente regia alle operazioni di calciomercato estivo, durante il quale non è che siano arrivati proprio solo giocatori utili alla causa. Magari anche individualmente fortissimi o dotati di indubbio talento ma non proprio fondamentali per la costruzione di una rosa coerente. Per il resto, riassuntoni a parte, si sa perfettamente come sia andata. Così come si sa che, molto probabilmente, Stefano Pioli non sarà l’allenatore dell’Inter nella prossima stagione.
La mestizia deriva dal fatto che, nonostante siano stati spesi bei soldoni per nuovi giocatori negli ultimi due anni, i risultati restano saldamente all’interno del range che va dal mediocremente passabile all’atrocemente umiliante anche se la qualità del parco giocatori a disposizione aumenta. E viene ancor più da lasciarsi andare guardando a ciò che si può salvare dell’attuale squadra. 270 milioni di euro spesi tra la sessione estiva del 2015 e oggi – considerando anche i saldi dei vari “pagherò” precedenti – e a stento si può pensare di portarsi dietro per l’avventura del prossimo anno più di sei o sette elementi. Se non è un fallimento gigantesco questo.
Però qualche nota positiva c’è, qualche argomento che possa ugualmente spingere decine di migliaia di masochisti incrollabili ad andare allo stadio esiste. Il primo resta quel Mauro Icardi che, discusso o non discusso, criticato o non criticato, resta il capitano e il centro di questa squadra per continuità di rendimento. Certo, resta un finisseur più che una punta di classe e manovra ma se si vuole seriamente prendere in considerazione l’idea di cedere uno da 78 gol in quattro anni di Inter imbarazzante allora prego, il pronto soccorso neurologico è da quella parte. Subito dietro l’argentino come non citare l’ultimo arrivato, quel Roberto Gagliardini che in quattro mesi ha messo insieme più prestazioni da 7 in pagella di tanti altri presunti titolari interisti in quattro anni. Ovviamente il masochismo nerazzurro non ha risparmiato nemmeno il centrocampista di Dalmine, preso di mira per due volte a causa di simpatie juventine esistenti solo nella psiche malata di fin troppi tifosi frustrati.
Poi, probabilmente, ci si può tirare dietro anche Candreva e Perišić, non sempre in grado di giocare il loro miglior calcio ma certamente tra gli ultimi colpevoli di una stagione così disgraziata. E tutto sommato si può concedere il beneficio del dubbio pure a João Mário, autore di una stagione da comparsa tutt’altro che memorabile (e considerando questo aspetto il costo pagato per il suo cartellino la sua annata urla vendetta al cospetto di Dio battendosi ferocemente il petto con delle selci appuntite) ma comunque dotato di un indubbio talento che, forse, in un contesto non composto da soli psicotici potrebbe addirittura emergere. Infine si può salvare anche il buon Banega, un giocatore senz’altro pieno di difetti ma al contempo forte di un vantaggio tecnico e mentale sulla gran parte dei colleghi tale per cui può essere un’arma estremamente efficace in mano a chi sappia sfruttarla all’interno del contesto adatto.
Fatti salvi questi cinque o sei capisaldi, se così vogliamo chiamarli, e tutt’al più altri tre o quattro nomi a essere generosissimi, appare evidente che le prospettive non sono rosee. Anche perché in tanti (e non sempre per questioni strettamente di campo) meriterebbero di essere (s)cortesemente sloggiati altrove ma l’ennesimo ribaltone semiquasi-totale riazzererebbe una volta di più il contachilometri e, come non ci stancheremo mai di ripetere, a una squadra di successo serve anche tempo per conoscersi, miscelarsi e tirar fuori quella chimica contraddistinta da un segno più davanti che raramente si crea mettendo assieme undici sconosciuti totali con alle spalle sette allenamenti in croce. Cosa fare, dunque? Provare a installare ancora una volta le porte girevoli e ripartire sostanzialmente da zero? Puntellare la rosa con due o tre rinforzi estremamente mirati e di livello assoluto e tentare la fortuna così con un allenatore qualsiasi nel caso in cui i profili che si vorrebbero sul serio non fossero interessati a venire a Milano?
Sarà anche il momento, impossibile escluderlo del tutto, ma la cosa più sconfortante di questo momento interista è la sensazione che, comunque si faccia, si sbaglierà.