EDITORIALE – L’italiano di de Boer e quel “pirla” di Mourinho
L'Inter dell'olandese è come il suo italiano. Si sforza e si impegna ma ha orizzonti molto ampi. Vuole parlare la lingua di Dante in un contesto fatto di dialetti. Quello che fece dire a Mourinho "Non sono un pirla" strizzando l'occhio al milanese.Quante parole si sono dette in meno di una settimana. Quante se ne sono scritte. Chissà che idea si è fatto Frank de Boer di tutto quello che sta accadendo. Chissà se colui che lo accompagna nella conoscenza della nostra lingua gli ha reso meglio l’idea. Più si va avanti e più esiste un parallelismo tra l’italiano dell’olandese e la sua avventura sulla panchina nerazzurra.
UN INIZIO SHOCK – Chiamato d’urgenza a guidare un treno in corsa. Col tempo preferirà il riferimento a una macchina da formula uno. Quel che emerge, fin da subito, è che con la squadra l’unica cosa che li accomuna, è la voglia di giocare a calcio. Non si capiscono all’inizio, c’è un gruppo composto di singoli che deve imparare a ragionare da squadra. Magari poi, successivamente, anche diventare una squadra. Questo termine compare sulla bocca di chi ama questi colori da ormai tanto tempo. Tra progetti, anni 0, nuovi acquisti, leader e capitan futuro. Tutte bozze di un libro che non fu mai scritto. O almeno ancora non è stato presentato. E chissà se quel giorno la Curva gradirà quel che leggerà. Ma questa, come direbbe chi del giornalismo ha fatto poesia, è un’altra storia.
LAVORO E COMPETENZA – Ragiona all’europea de Boer, ha un calcio diverso da quello italiano. Vuole dominare gli avversari. C’è impegno, quasi maniacale, in quel che fa. C’è un’etica sconosciuta. Quella dei pranzi insieme alla Pinetina, obbligatori. Quelli dei ritiri che non ci sono, perché ci si affida alla professionalità e al bisogno di stare in famiglia per trovare le energie. C’è la tattica, c’è il possesso. C’è la voglia di comunicare con tutti. Nasce il primo abbozzo di italiano. Frank inizia a conoscere l’ambiente in cui è immerso e non vuole essere tutelato. Ci mette la faccia, vuole esserci lui al centro. Accetta che la società gli stia di fianco, ma non nega che servirà tempo. Parla di quattro mesi. Mette l’obiettivo a dicembre. Lo guardano come un alieno.
Davvero vuoi aspettare tanto? In Italia?
De Boer questo paese sta imparando a conoscerlo. Ma non può essere un cammino unilaterale. Anche il calcio tricolore deve imparare a conoscerlo e lui corre più di prima. La condizione non è della migliore, la pressione della stampa aumenta, le domande vengono tradotte, le risposte anche. Lui inizia a capire ma non riesce ancora ad esprimere. Ma una cosa è chiara. Vuole eliminare gli intermediari.
LA JUVENTUS – Inizia a parlare italiano l’olandese nerazzurro. Rilancia i giovani del vivaio, Senna Miangue e Assane Gnoukouri. Non a caso due che parlano tutte le sue lingue. Poi finalmente affronta una squadra costruita per il panorama europeo. E la batte. E non è una squadra a caso. È l’invincibile Juventus. Non ci sono più traduttori, Frank de Boer parla interamente in italiano. Ci prova, si presenta ai microfoni senza nessuno al suo fianco e in questo modo arriva alla fine. Sembra la svolta. L’allenatore ha ormai in mano la situazione. Ha battuto chi non poteva essere battuto ed è lì a un passo dalla vetta. È l’eroe del popolo. Icardi è trascinatore, si muove da punta moderna. Si sacrifica, segna, fa segnare. È il capitano di tutti. Nessuno è stato fermo quando l’Inter ha battuto la Vecchia Signora.
LA NOVITÀ DURA POCO –Le novità piacciono. Spesso permettono di fare grandi sogni e fissare gli orizzonti. Così è stato anche per Frank, ributtato sulla terra polverosa una settimana più tardi. Prechè l’italiano è ancora balbettante. Perché la stampa sorride le prime volte che ci provi, ma poi ha i suoi tempi e ti devi muovere a rispondere. Dallo studio ti finiscono la frase, in collegamento c’è già un altro allenatore e poco importa se ti stai impegnando, devi arrivare al risultato. Incredibile. Non solo in campo. Tutto ruota sul risultato, il prima possibile. Dicembre ancora è lontano e sembra che anche in società un altro allenatore sia già in collegamento. Devi essere un Dante Alighieri caro Frank. Perché c’è chi si è presentato, con accento portoghese, dicendo che non era un Pirla. Ma lui era da febbraio che studiava l’italiano e sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Tu no. A te i 5 mesi che ha avuto lui a telecamere spente non sono stati concessi. Tu devi correre.
LA CURVA MUTA LO STADIO IN PIEDI – Tu ti appelli a tifosi che danno consigli il giorno dopo aver scritto pretese. Tu impari l’italiano per una squadra che comanda in cinese, ordina in spagnolo, legge l’italiano. Ma solo dopo che gli è stato raccontato. Tu ammetti che hanno sbagliato. Che lo hanno fatto tutti, con quel libro di un capitano di 23 anni. E non importa se dopo le pagine della vergogna ci sia scritto che il rispetto e l’amore per i tifosi è tornato. Quei tifosi voltano le spalle al loro capitano dopo aver gettato in terra la sua maglia. Ma tu questo non lo sai, o non lo vuoi sapere. Tu devi correre e vincere. Soprattutto in Europa perché è il tuo terreno. Se giochi all’europea non puoi perdere in Europa. Ma il livello si è abbassato, la Cagliari d’Israele e il Bologna della Repubblica Ceca giocano in Europa. Ma poi batti l’unica blasonata. E tutto torna.
L’ITALIANO – Caro Frank, con il cuore in mano mi rivolgo a te. La pelle d’oca ogni volta che ti affacci ad un microfono mi emoziona tanto quanto il tuo gioco. Tu ti sforzi di imparare l’italiano ma non capisci che prima devi imparare il provinciale. Quel Pirla detto alla milanese era lo step successivo. Tu vuoi studiare qualcosa di accademico che non esiste più. Manda giù qualche boccone amaro di brutto gioco dal gusto di tre punti. Arriva a dicembre come hai chiesto tu e poi domina. E quando vincerai, esulta, corri, magari verso il centro del campo. Lascia che la curva legga le vittorie sulla biografia del suo capitano, mentre il nostro alza i trofei.