EDITORIALE – Lo specchio di un anno si chiama Samir
C’è l’errore combinato di Handanovi? e Ranocchia (chi ha più responsabilità interessa relativamente), chiaro sintomo di una sintonia difensiva che, in generale, la squadra non ha mai avuto lungo tutto l’arco del campionato. Ma non c’è solo un errore tecnico o uno strafalcione calcistico, c’è anche tutta l’insicurezza di un capitano sempre coraggioso a parole ma troppo di rado sul campo, c’è la paura di trasformare – come in effetti avviene – un’azione potenzialmente pericolosa in un’azione sicuramente pericolosa, c’è tutta l’esperienza pregressa dei disastri commessi in un anno poi sfociati in reti avversarie che genera inevitabilmente un timore incontrollato ma, soprattutto, c’è tutto il dramma di un estremo difensore più confuso che concentrato, mentalmente più orientato a quella scrivania dove, sedendosi, dovrà decidere cosa vuole dal proprio futuro che non a quel che succede in campo in una stagione che non è compromessa da ere geologiche solo per inettitudine di chi precede il Biscione in classifica.
Perché Handanovi? avrà i suoi difetti – tanti, secondo i suoi fisiologici detrattori, trascurabili secondo la maggioranza dei tifosi – ma sulla sua professionalità non si può dire assolutamente nulla: il numero uno sloveno è semplicemente una macchina in allenamento, l’hanno fatto notare in tempi non sospetti anche Pagliuca e Mazzarri. Mai una deroga a sé stesso, mai una goccia di sudore risparmiata sul lavoro, mai un commento fuori posto (persino quando ha dovuto lasciare il posto a Carrizo nel ritorno degli ottavi di Europa League dopo i disastri del compagno a Wolfsburg non ha proferito verbo, preferendo invece lavorare ancor più duramente durante la settimana).
Eppure persino Iceman può avere dei turbamenti. Anche Samir può essere disturbato da pensieri che poco hanno a che fare col rettangolo di gioco. E se la vexata quaestio relativa al rinnovo di Icardi non ha distratto il centravanti nerazzurro perché, più che il futuro, in quel caso si parlava semplicemente di uno stipendio non conforme all’importanza in rosa e al rendimento, il problema che invece ha Handanovi? è ben più stringente e riguarda l’avvenire e dove passare gli anni dell’ultimo contratto importante della carriera (solo in misura ben minore lo stipendio).
Del resto non si può dire che l’Inter abbia davvero accontentato le ambizioni di Handanovi?: un nono, un quinto e di nuovo (almeno per ora) nono posto sono più posizioni di classifica che l’estremo difensore poteva attendersi a Udine che non a Milano – con tutto il rispetto per il club friulano. Comprensibile dunque che lo sloveno si guardi attorno e abbia parecchia confusione in testa e nel cuore: vuole competere ai massimi livelli, vuole dimostrare di essere uno dei migliori nel suo ruolo, vuole vincere. E in quest’Inter pare ogni anno più difficile.
A oggi le voci si susseguono, tra la possibilità che resti sorprendentemente o che consumi un addio che, ultime prestazioni alla mano, pare già annunciato più dalla gestualità e dalla deconcentrazione in partita che non dalle parole (che pure non sono mai state particolarmente chiare). In realtà, in questo suo recente tentennare, Handanovi? non è altro che un fedele specchio di quel che è stata non solo l’annata dell’Inter ma, più in generale, proprio lo stesso triennio in cui lui ha difeso i pali della Beneamata. Una squadra che prometteva grandi cose via media ma che già a dicembre, ineffabilmente, s’è sempre trovata fuori dai giochi; certo, un collettivo ancora capace di alcune imprese notevoli ma anche di tremendi tracolli o di prestazioni che sfiora(va?)no il ridicolo. Insomma, una schizofrenia pluriennale che, alla fine, s’è esemplificata nel portiere ex Udinese, metaforicamente riscontrabile tanto nella sua sequela interminabile di rigori parati quanto negli orrori degli ultimi tempi. Del resto nella stessa partita col Genoa si contano in egual misura interventi prodigiosi ed esitazioni fatali.
Dopo essere stato forse l’unica presenza costante tra i promossi di fine stagione dal giugno 2012 a oggi, Samir Handanovi? si è infine trovato a essere coinvolto a tal punto nel caos della sua squadra da diventarne addirittura l’emblema, tristemente chino a raccogliere palloni inesorabilmente finiti in quella rete che dovrebbe proteggere, in un’immagine che – probabilmente – è il ritratto più fedele del suo periodo interista.
E, considerando il valore assoluto del giocatore, non è giusto.