EDITORIALE – Risveglio
Quasi buona la prima.
Si sa che in un derby la vittoria dipende da tanti fattori, talvolta persino slegati dai valori tecnici in campo, e quindi non è mai facile o banale vincerne uno anche se, alla vigilia, si è super favoriti. Figuriamoci allora quest’Inter, che sicuramente arrivava alla stracittadina con la leggerezza positiva e la voglia di impressionare figlie del cambio in panchina, ma che resta una squadra incompleta (e, visto il 4-3-3 del Mancio, rischia di esserlo persino più del preventivato se il mister jesino vorrà confermare il modulo anche nelle prossime uscite). Tuttavia s’è usciti da San Siro con un punto e con un pareggio imposto e non subito, non certo un risultato pessimo. Certo, si poteva vincere, il Milan è oggettivamente poca cosa da un paio d’anni a questa parte, ma aver evitato la beffa è comunque un esito che non era affatto scontato alla vigilia.
In realtà, il dato più confortante che il derby lascia in eredità è la voglia assoluta e totale dei giocatori di dare tutto in campo, supportata anche da una condizione fisica che è apparsa accettabile prima del crollo verticale negli ultimi dieci minuti (a proposito: Mister, sostituzioni un po’ troppo tardive!). Ma è dall’atteggiamento mentale che bisogna ripartire, sapendo anche che la motivazione super di ieri arrivava anche dalla natura stessa del match, storicamente uno dei più sentiti in assoluto anche dai giocatori (e quindi entrare in campo con la “testa giusta” è quasi più semplice che non nelle partite “normali”).
Il gioco, dal canto suo, non può che migliorare e la mano di Mancini, comprensibilmente, ancora non si vede granché bene al netto del modulo; tuttavia, un barlume d’impianto di manovra s’è già visto in due o tre transizioni fatte durante il derby, così come s’è intuita una propensione (già arcinota, per carità) del Mancio al gioco di prima. Scelta interessante quella dell’ex leggenda doriana: pur con un organico così povero tecnicamente intende privilegiare la velocità di manovra piuttosto che la precisione nel fraseggio. Un’idea che può pagare in questa Serie A dai ritmi così compassati e stracolma di integralismi tattici, specialmente in fase difensiva. Mancini deve aver pensato che, non disponendo proprio di top player, la palla si perderà comunque anche tessendo una tela di passaggi fitti ma semplici e, dunque, tanto vale rischiare di buttarla via ma cercando una verticalità di gioco e il compagno che attacca lo spazio senza pallone (entrambe circostanze poco viste con Mazzarri, purtroppo). Anche perché se la giocata si rivela efficace poi l’occasione è presto materializzata e, soprattutto, non estemporanea, come talvolta sembrava negli ultimi mesi.
Ovviamente il nuovo/vecchio allenatore della Beneamata ha ancora bisogno di tempo per capire bene dove inserire ogni suo pezzo nel puzzle che sta componendo; bisogna infatti aspettare per sapere se Kovacic in fascia è stato un esperimento, un trucco o una seria dichiarazione d’intenti (sperando che non sia l’ultima…), se Medel verrà soppiantato da M’Vila o Kuzmanovic, uomini più propensi all’impostazione del cileno, dove giocherà effettivamente Hernanes, se Osvaldo sarà un vice Icardi, un vice Palacio o addirittura un titolare… Insomma, di incognite ce ne sono parecchie.
Quel che però scalda i cuori dopo un derby non certo esaltante ma, in qualche misura, confortante resta comunque la nuova scintilla negli occhi dei giocatori che, ed era evidente, adesso paiono sentirsi più liberi, meno costretti, più leggeri e tranquilli, affrancati dalle pastoie di un gioco che era molto meccanico e rigido, forse troppo per questo gruppo. Ah, la truppa è anche sembrata ben più determinata a vincere.
Questo, caro Mancio, è già un primo piccolo risultato (ma anche importante), nonché un’ottima base su cui ricominciare a lavorare.
Risvegliarsi per crederci, crederci per vincere.
Come un novello Pappalardo, allora, diccelo Roberto: ricominciamo.