EDITORIALE – Nella testa di Mancini
Ma al di là degli effettivi che andranno selezionati per la stracittadina, il tecnico jesino ha il complicatissimo compito di capire come mai i suoi giocatori abbiano questa tendenza a dare segnali contrastanti sul loro effettivo stato di salute che imbarazzerebbe anche il celebre dottor Jekyll. Siamo onesti: dopo la terrificante prova disputata contro il Parma – che è tutto tranne che un cadavere ambulante come si potrebbe immaginare, e la vittoria sulla Juventus l’ha confermato, ma come alibi non può bastare – aspettarsi una partita con gli spunti positivi che comunque la sfida con l’Hellas ha regalato ma, soprattutto, una vittoria quasi mai messa davvero in discussione era veramente difficile.
È proprio questa lunaticità nerazzurra a rendere oltremodo complessa la lettura e l’interpretazione dei segni che la squadra lascia dietro di sé, anche all’interno di una stessa gara. A un tempo fatto male, solitamente, segue uno fatto bene (o viceversa); quasi mai il Biscione gioca 90′ tutti allo stesso livello (e quando è successo è successo al ribasso, vedasi appunto la partita di otto giorni fa contro il Parma). Per Mancini la missione già non è delle più semplici, se poi la squadra si comporta in maniera tutt’altro che lineare come abbondantemente detto e riportato negli ultimi due mesi allora diventa seriamente quasi impossibile.
In realtà, per non andare troppo lontano, possiamo ipotizzare ragionevolmente che il Mancio si stia ora chiedendo cosa si deve aspettare dall’imminente derby. Prima ancora di capire chi mandare in campo, infatti, l’allenatore ex City e Lazio dovrà studiare attentamente i suoi in allenamento e cercare di capire cosa hanno in mente ancor prima che nelle loro gambe perché pare essere qui la chiave per ottenere un rendimento decente nelle restanti partite di questa stagione (va da sé che, per la prossima, quella psicologica sarà solo una delle tante componenti che vanno aggiustate. È anche vero che è una delle poche sulle quali ha senso lavorare già adesso).
Un’obiezione lecita potrebbe essere: ma il Mancini Roberto da Jesi, con quello stipendio mostruoso, non ha lavorato sulla testa dei giocatori fin dal primo giorno e ciò nonostante non ha saputo aggiustare la mira al gruppo in questi mesi di lavoro? La risposta è ovvia: senz’altro il Mancio sta lavorando da un pezzo sulla mentalità degli uomini a disposizione così come sull’approccio alle partite nonché alla tenuta mentale ma il lavoro è complesso, specie se la rosa, fin dall’arrivo dell’allora normalizzatore Ranieri, gioca in prima battuta per non prenderle. Sono infatti ormai quattro anni e passa che l’Inter sostanzialmente gioca chiudendosi per poi ripartire e questo tipo di “condizionamento” non si può scardinare in poco tempo. Inoltre il mister marchigiano non ha avuto veramente idea di tutto il repertorio di fragilità emotive e psicologiche di cui soffre la rosa fino al periodo intercorso tra la metà di febbraio e quella di scorso marzo, periodo in cui ha visto la stranissima partita di Glasgow, la sconcertante eliminazione col Wolfsburg, gli assurdi pareggi con Napoli e Cesena o la sconfitta “piatta” contro la Fiorentina (e questo si nota decisamente dai concetti espressi nei post partita e nelle conferenze stampa; man mano che si susseguivano le partite, Mancini ha sempre più enfatizzato la componente del lavoro quotidiano a scapito di quella dei risultati immediati, probabilmente perché s’è reso conto che a questa squadra serviva ben più che un pizzico di fiducia in sé stessa).
A tutto ciò ecco aggiungersi anche il can-can mediatico che ha suscitato l’indiscrezione de La Gazzetta sul ritorno di Moratti, la presunta reazione piccata di Thohir e il brusio sui social relativo alla questione ma anche il calciomercato – sostanzialmente mai terminato da dicembre a oggi – e quindi le liste di nomi improbabili/impossibili/acchiappa-gonzi. Questo perché in casa nerazzurra piove sempre sul bagnato.
La morale finale è che in ben pochi vorrebbero essere adesso nella testa di Roberto Mancini, con un derby da giocare, una stagione pessima da chiudere e una esaltante (per forza, più o meno) da pianificare. Nonostante sia una tribolazione ben pagata, la missione Inter rimane infatti tremendamente difficile.