EDITORIALE – Palla alla difesa
Una settimana non priva di apprensione quella conclusasi ieri sera al Sant’Elia, dove l’Inter ha saputo centrare la terza vittoria di fila in campionato (come si è ricordato in tutte le salse non succedeva dalla seconda metà del 2012, praticamente un’eternità). La difesa, però, non può che essere sotto esame dopo i quattro gol rimediati in due sole uscite, tenendo comunque a mente che solo per la scarsa concretezza degli avanti di Zola ieri non se ne sono subiti di più: è andata bene da quel punto di vista anzi, benissimo. Nasconderlo o girarci attorno non serve a niente, se non a ingannarsi: la difesa non è ancora su quegli standard di rendimento richiesti da Mancini per fare una seconda parte ottima di campionato e provare a cogliere l’obiettivo europeo finale (per non parlare del cammino verso Varsavia in Europa League).
Chiariamolo subito, quando la retroguardia soffre come ieri o come è accaduto a Glasgow non può essere solo colpa dei difensori. In quei frangenti è tutta la fase difensiva, operata da tutti i giocatori di movimento, a mancare di efficacia e di convinzione, specialmente nelle mezzali. Al Sant’Elia Brozovi? ha sofferto gli altissimi ritmi imposti dal pressing sardo fin dall’inizio e ha faticato parecchio a tenere la posizione, non riuscendo ad aiutare al meglio Santon; dall’altro lato del campo, Guarín ha combattuto molto in mediana e spesso s’è mosso in proiezione offensiva senza palla ma il lunghissimo filotto di partite, giocate tutte da titolare, s’è probabilmente fatto sentire e non sempre ha avuto abbastanza fiato per tornare in copertura. In tutto ciò Medel ha faticato parecchio nel suo roaming difensivo, non riuscendo da solo a tappare tutti i buchi attraverso cui passavano i giocatori del Cagliari, i quali hanno spesso attaccato in massa appena recuperato il possesso, specialmente dopo il primo svantaggio (e con il secondo la situazione non è migliorata). Pretendere dal Pitbull che arginasse da solo tutti i centrocampisti avversari che si riversavano in avanti sarebbe ingeneroso e, senz’altro, il cileno è probabilmente il meno colpevole dei tre mediani nerazzurri.
Ma se la fase difensiva non è stata brillante (per usare un eufemismo) per una responsabilità condivisa, ancorché non ugualmente distribuita tra le parti – i difensori hanno per forza di cose colpe maggiori, ciò che ha preoccupato più del resto non sono stati gli errori, ma le loro proporzioni. I centrocampisti avranno svolto meno coscienziosamente di altre volte i compiti di copertura ma i difensori hanno proprio dato la sensazione di aver letteralmente spento il cervello per almeno un quarto d’ora, tant’è che parecchie delle chance più nitide del Cagliari sono arrivate su errori individuali dei giocatori della Beneamata più che da buone trame offensive rossoblù (paradossalmente, il gol di Longo/autogol di Carrizo è arrivato in maniera opposta, grazie a una gran conclusione del centravanti dei sardi – anche se certamente Juan Jesus poteva stare ben più vicino all’ex compagno di squadra…). Ormai per il Biscione è una costante soffrire su un pressing alto avversario ben organizzato e compatto ma ieri s’è sfiorato a tratti il ridicolo – per non dire il tragico – e le difficoltà in uscita del pallone dalla trequarti nerazzurra sono state clamorose.
In Scozia gli scempi difensivi erano stati più imposti dal Celtic che non totalmente regali dell’Inter ma va anche detto che i Bhoys non sono esattamente lo squadrone dei tempi andati, né hanno chissà che qualità nei loro giocatori; gli uomini di Dauda hanno sostanzialmente alzato parecchio i ritmi più che organizzare fitte trame di passaggi o combinazioni ad alto coefficiente di difficoltà, mandando in crisi la retroguardia di Mancini soprattutto grazie al loro dinamismo e, ancora una volta, al pressing portato in maniera ordinata ed efficace.
La confusione che pare aleggiare sulla retroguardia meneghina pare non volersi dissolvere nemmeno a seconda degli interpreti: dopo un gran primo tempo, ieri persino Vidi? ha faticato non poco a tenere compatto il reparto. Al di là di Felipe, oggetto più o meno misterioso, la speranza è che col rientro di Andreolli si possa ricreare la coppia tra l’ex primavera col numero 6 e il serbo, probabilmente la più affidabile vista fino a ora. Sugli esterni, viste le precarie condizioni di D’Ambrosio, la sparizione di Jonathan, l’infortunio di Nagatomo e l’inadeguatezza di Campagnaro a presidiare la fascia in pianta stabile, specialmente con così tante partite una dopo l’altra, la situazione non più rosea.
Il Mancio è dunque ora alle prese con una missione cruciale: dopo aver dato un gioco offensivo e palla a terra alla sua squadra, il tenico jesino deve necessariamente registrare la retroguardia. Altrimenti il groppo in gola (per non dire di peggio) che prova attualmente ogni interista appena il commentatore del caso esclama: «Rientra in possesso l’Inter, palla alla difesa» non se ne andrà mai. E, onestamente, qualche ragione c’è.