EDITORIALE – Per adesso non è cambiato nulla
Il nostro abituale editoriale del lunedì. Di cosa avremmo mai potuto trattare questa volta se non del derby di ieri sera e del vortice gattopardesco in cui l'Inter è imbrigliata in maniera invincibile?La verità è che l’Inter meritava di vincere. L’Inter ha costruito più occasioni da gol, L’Inter ha costruito le chance migliori, l’Inter ha schiacciato nella sua metà campo il Milan molto più spesso (e molto più a lungo) rispetto a quanto fatto dai rivali rossoneri.
Eppure oggi s’è letto altro. Poche analisi si sono soffermate su quella che è stata un’oggettiva superiorità nerazzurra, perlomeno nel primo tempo. Si può disquisire sulla ripresa (è nemmeno troppo) però i primi 45 minuti portano un marchio che è decisamente quello del Biscione. Anzi, anzi: c’è anche chi ha provato a sostenere che sia stato Montella a vincere la sfida dei tecnici, in quanto avrebbe disegnato la formazione tatticamente migliore tra le due nonché indovinato meglio la partita, perché avrebbe “imbrigliato” la Beneamata (argomento spesso suffragato dal fatto che l’Inter ha speso di più sul mercato. Come se c’entrasse qualcosa con l’efficacia tattica di una partita. Ma, a quanto pare, l’abilità comunicativa di Montella ha fatto pienamente centro).
Attenzione, non è col cuore che si parla qui: i dati sono oggettivi, dal confronto tra le conclusioni effettuate dalle due squadre fino a tutto quel popò di dati messi insieme dalla redazione di Mediaset Premium che evidentemente restituisce una fotografia della partita che premia l’Inter.
Mettiamo le mani avanti: il risultato finale ci sta. Il Milan ha saputo punire tutti i balbettii della retroguardia nerazzurra e, anzi, a tratti ha dato la sensazione di poter segnare facendo un piccolo sforzo, tanto la fase difensiva del Biscione lasciava a desiderare. Considerando come si è svolta la partita e l’economia del tutto, il punteggio definitivo non grida vendetta. Il Milan di Montella non ha rubato nulla, sia chiarissimo. Al contempo però se c’è una squadra che avrebbe meritato di portarla casa più dell’altra questa è l’Inter, capace di non far vedere il pallone agli avversari per quaranta minuti nel primo tempo e negli ultimi venti.
Fatta questa premessa, è doveroso notare che sono riemersi tutti, e proprio tutti, in fila per due come educati bimbi dell’asilo, i difetti dell’Inter di Frank de Boer, quasi a testimoniare che, sebbene questa fosse la prima panchina di Pioli, in realtà l’anima profonda della compagine ancora non è cambiata. O meglio, non è cambiata ancora abbastanza per vincere in un modo diverso da quello desiderato dall’olandese. Certamente sono passate a malapena due settimane ma siamo sicuri che Pioli sia un allenatore risultatista? Qualcuno a cui chieder di arrivare ala vittoria perseguendo qualunque tipo di strada ed eventualmente lasciar perdere lo stile d gioco? (Spoiler: no che non lo è.)
Comunque, il copione è stato quello più volte visto da fine agosto a oggi: la squadra crea, la squadra ci arriva vicina, la squadra alla fine non punge minimamente quanto potrebbe. E se non pungi poi vieni anche punito. Anche perché le occasioni concesse agli avversari non sono tantissime ma tendenzialmente sono grosse (la difesa è sempre un problema).
Spesso si fa notare che l’Inter concede di entrare nella propria area agli avversari meno spesso di un anno fa ma è pur vero che, quando succede, i rivali di giornata – chiunque siano – si trovano la porta spalancata e troppa poca resistenza. Nel derby s’è visto perfettamente.
Ed è strano notare alla fine che persino questa attesissima sfida con i cugini rossoneri, una partita che avrebbe dovuto segnare già di per sé stessa un grosso cambiamento (è arrivato il nuovo allenatore dopo tutto), in realtà non ha fatto che riproporre un nastro andato in onda già piuttosto spesso in questa stagione. Gattopardesco, senza dubbio.
Il problema però è che l’Inter ha cacciato de Boer perché più desiderosa di fare risultato che non di costruire un’identità forte sul piano della manovra. Quindi a Pioli probabilmente tocca ora inventarsi qualcosa per invertire il trend cominciando il prima possibile a macinare punti e, al contempo, completare l’opera di costruzione dell’identità di gioco il prima possibile perché – come de Boer (ed è molto ironico) – è l’unica strada che conosce per migliorare la sua squadra. Morale: o da Lourdes arriva un pacco espresso con dentro un miracolo di buone dimensioni oppure servirà ancora diverso tempo al nuovo mister per riuscire a trovare una quadratura del cerchio.
Paradossalmente, potrebbe essere confortante che Stefano Pioli abbia potuto capire già alla sua primissima panchina che quest’Inter rischia di perdere praticamente sempre le partite che pure meriterebbe di vincere. Perché alla fine il dubbio che questa sia una caratteristica insita nell’anima profonda della squadra e quindi qualcosa di relativamente poco attinente al lavoro dell’allenatore di turno viene.
Ed è fortissimo.