EDITORIALE – Perchè l’Inter è tornata una corazzata
di Aldo Macchi UNA VITTORIA MEMORABILE – Abbiamo ancora tutti negli occhi la meravigliosa partita di sabato, un 3-1 memorabile, una sfida ricca di storia, come il nostro Gianluigi Valente ha espresso nel suo fantastico articolo, dove l’Inter ha ritrovato la vittoria contro la Juventus, importante per tanti aspetti, almeno tre: tre come i gol subiti dalla Juventus, cosa che non accadeva da molto tempo in campionato, tre come i metri di fuorigioco di Asamoah in occasione del gol dei bianconeri, tre come i punti recuperati dalla capolista che ora dista un solo punto. Ma non è solo il tre a svolgere un ruolo importante per la gara di sabato, c’è anche il 49, il numero delle gare senza sconfitta in campionato che è stato fermato dalla squadra più bistrattata di questo campionato, quella con l’allenatore più impreparato, quella bollita e senza gioco, quella che non avrebbe mai lottato per lo scudetto. Ma nemmeno questo dato sottolinea a pieno il significato profondo e altamente appagante dell’armata nerazzurra festante a Torino. L’elemento più forte, che spicca in modo poetico tra il freddo di quella notte torinese, è il fatto che l’Inter, l’acerrima nemica, colei che con il suo scudetto definito “di cartone” impedisce di poter parlare di 30 scudetti, è stata la prima a violare lo stadio di proprietà juventino, il tempio delle polemiche, con le tre stelle e la scritta “30 sul campo”.
INIZIO TERRIBILE – A fare da contorno a tutto questo, il ricordo delle manette di Mourinho, risvegliato nella memoria dopo solo 17”, il tempo necessario per vedere la Juventus passare in vantaggio grazie ad una azione viziata da evidente posizione di fuorigioco di Asamoah, quel tanto che basta per mettere fuori tempo l’intera difesa. Ma ecco che pochi minuti più tardi arriva l’episodio più grave, a mio parere, della partita. Un fallo evidente di Lichtsteiner su Palacio, il giocatore bianconero già ammonito, le immagini televisive che inquadrano chiaramente Orsato, giudice di porta, parlare a Tagliavento nel microfono, con nessuna conseguenza presa. Un fallo semplice che però non è passato inosservato a nessuno, nemmeno alla panchina juventina che ha deciso di sostituire l’esterno per evitare conseguenze. Una decisione che è l’ammissione di una grazia, il ringraziamento esplicito all’arbitro per aver impedito di giocare in dieci gran parte della gara, la firma di un compromesso: continuiamo in undici ma mi brucio un cambio. Fatti che sono costati cari psicologicamente al Catania, che si era visto defraudato e soggiogato, perdendo pallino del gioco e partita. L’Inter invece è ripartita da lì con uno spirito differente, con una voglia tremenda di vincere contro tutto e contro tutti, perchè, come dice Stramaccioni “Noi siamo l’Inter”.
STRAMACCIONI LO STRATEGA – Già Stramaccioni, colui che era chiamato a vivere un altro esame di maturità, il suo primo Juventus – Inter che lo aveva spinto a studiare per non farsi trovare impreparato, come aveva scherzato con i giornalisti dopo la gara di mercoledì. La chiave della vittoria sta proprio nel tecnico romano, capace non solo di leggere le partite, ma padrone a due mani della sua squadra, disegnata a sua immagine e somiglianza. Stramaccioni è la dimostrazione che non è il nome o il valore dell’allenatore a rendere grande una squadra, ma la sua capacità di farsi accettare dal gruppo, e il livello psicologico di conoscenza dei suoi giocatori. Difficilmente lo si è visto sbagliare un cambio, da quando ha trovato l’identità di questa squadra. Per farlo ha sbagliato, come è ovvio che sia per chiunque stia cercando di formare un gruppo vincente consapevole di dover prendere delle responsabilità per farlo. In questi giorni stanno circolando le immagini della sua partita , le scelte dei cambi a riprova di quanto detto finora. Quando Guarin stava per fare il suo ingresso in campo al posto di Cassano, molti hanno pensato fosse per difendere il pareggio, evitare di subire il secondo gol, ma solo chi, come l’allenatore romano, conosce a pieno i giocatori, ha capito che quel cambio era per vincerla la partita e non per non perderla.
IL TRIDENTE SPENSIERATO – Con la sua scelta di affrontare la Juventus a Torino con il tridente ha spinto Marotta a definire l’allenatore nerazzurro “spensierato”, con una lieve cadenza che faceva intendere uno “sprovveduto” come termine più azzeccato. C’è chi dice tutt’ora che è stata una mossa errata e che infatti la rimonta è arrivata proprio quando il tridente è stato smantellato dai cambi. Ma questa è una visione troppo superficiale, fatta da chi ha visto la partita dai freddi monitor e isolandosi agli episodi, senza considerarne l’intero svolgimento. Le mosse di Stramaccioni hanno cambiato la partita, facendo mancare i punti di riferimento. La Juve aveva improntato la sua partita sul proprio schema e il proprio gioco, che non ha nella rosa attuale, o nelle scelte del tecnico, molte alternative. L’Inter invece ha impostato la gara su due binari differenti, la difesa e l’attacco, quasi come una squadra di Football americano. Il cambio di Cassano con Guarin è andato a sostituire il marcatore di Pirlo, permettendo così a Palacio di agire più vicino alla porta e a Guarin di velocizzare le ripartenze. Ad inizio partita infatti era Palacio a seguire a specchio il regista bresciano, con uno spirito di sacrificio molto simile all’Eto’o terzino di mourinhana memoria. Con l’inserimento di Guarin le cose sono cambiate e la Juventus non è più riuscita a trovare punti fermi in questo nuovo modulo degli avversari.
LA RINASCITA DELLA CORAZZATA – Dopo la partita di sabato, l’Inter esce con una nuova consapevolezza, non esistono squadre imbattibili e non esistono limiti per questo gruppo che sta risvegliando la passione in tutti gli amanti del calcio. Perchè di top player non ce ne sono tanti, a stupire è l’alchimia raggiunta da questi giocatori che lottano insieme per un unico obiettivo, mettere in campo il credo di un allenatore che si è tatuato addosso i colori nerazzurri, una persona grintosa, preparata che non dimentica l’umiltà con cui è arrivato. Il fenomeno del momento, che quando gli si chiede quale sia il giorno più bello da quando è all’Inter risponde: “Il giorno più bello è quando il presidente mi ha chiamato per dirmi che sarei stato l’allenatore dell’Inter”.