EDITORIALE – Precarietà abituale
L'abituale editoriale del lunedì sera, dedicato a quel sentore di provvisorio che sembra permeare tutto. Persino le chiacchiere dei tifosi, sempre accese a prescindere dal risultatoDiciamo le cose come stanno: gli ultimi sei punti dell’Inter in campionato fanno piacere e rattoppano vagamente l’emorragia di risultati in corso da inizio anno ma non è che risolvano chissà cosa in classifica, né sono particolarmente solidi in prospettiva futura. La squadra può ancora girare la metà di stagione sotto i 30 punti (ovviamente sarebbe una tragedia) e non ci sono stati particolari miglioramenti nel gioco che aiutassero ad accompagnare le ultime vittorie, anzi. Se con il Genoa la fase difensiva è stata a tratti oscena, contro il Sassuolo si è visto qualche piccolissimo miglioramento dietro ma, in compenso, un deterioramento davanti: è tornata l’Inter che magari crea ma che e anche strutturalmente incapace di chiudere le contese (e di soffrire ma si sapeva già da eoni). Comunque la si veda, insomma, la situazione è precaria. Precaria in graduatoria, precaria a livello di equilibri di gioco, precaria come programmazione.
In tutto ciò, per non farsi mancare nulla, il buon Felipe Melo è anche riuscito nella doppia impresa di farsi rivalutare come elemento prezioso prima e sbattere fuori per la partita con la Lazio poi. Forse il giocatore brasiliano è una delle metafore più azzeccate della stagione nerazzurra. Giocatore accantonato più o meno fin dall’inizio, poi rispolverato più per cupa necessità che non per convinzione, poi ancora autoesclusosi in maniera molto vicina a un masochismo da psicanalisi proprio nel momento in cui poteva confermare di avere ancora qualche vaga utilità. Resta il fatto che per soffrire un pochettino meno, Pioli abbia dovuto – nelle ultime uscite – riaffidare le sorti della sua mediana al poco pedatoriamente educato ex capitano del Galatasaray, altro segnale macroscopico di quanto il centrocampo del Biscione fatichi enormemente a trovare un senso compiuto.
Aspetto che forse è però il peggiore dell’attuale momento nerazzurro è la divisione interna che stanno vivendo i tifosi. Ovviamente c’è chi è molto soddisfatto di essere tornato a vincere con certa regolarità e tutto sommato si interessa poco del come i tre punti arrivino a casa, concentrandosi su quanto ancora manca da giocare e dove si potrebbe ancora arrivare. Ma, per contrappunto, c’è anche una frazione di interisti che non si sente necessariamente soddisfatta a risalire di qualche posizioncina in classifica a discapito di un serio lavoro di programmazione per la prossima stagione (costoro ovviamente considerano chiusa quella attuale). È chiaro che le due parti in causa si stiano scontrando, a volte anche in modo acre.
In realtà, hanno qualche ragione in più i secondi: la stagione è ampiamente andata a farsi benedire, perlomeno rispetto agli obiettivi iniziali (bastano due conti per capirlo), e la sensazione è che, a ogni livello del club, si stia tirando a campare per arrabattare su in qualche modo una squadra presentabile da qui a fine anno ma senza che ci sia un vero e proprio traguardo all’orizzonte. Da un lato il #nonmollaremai d’ordinanza che va speso fino ad aprile in nome del blasone e della storia, dall’altro la bruciante voglia di chiudere il capitolo 2016/2017 il più in fretta possibile (più in quanto fallimentare che non per voglia di gettarsi a capofitto nell’immediato futuro). Ovviamente la squadra recepisce il clima e gioca di conseguenza. Altrettanto ovviamente, questo è un approccio piuttosto miope che tuttavia ben si sposa con l’incertezza su quello che è l’intento della società per il prossimo anno: si cambierà allenatore ancora una volta? Se si cambiasse, chi arriverebbe? Che tipo di gioco attuerebbe? Che giocatori avrebbe bisogno? Queste sono solo alcune delle domande che è lecito farsi pensando al prossimo anno.
D’altro canto, può anche essere estremamente sensata, nella sua logica terra terra, l’ostinazione con cui Pioli va avanti senza pensare a nulla, ignorando ogni chiacchiera su intenti e obiettivi finali e curandosi solo di preparare una partita alla volta per cercare di vincere sempre e comunque da qui a fine maggio. Del resto, senza avere alcun tipo di assicurazione o segnale su quello che sarà il futuro della squadra, l’attuale tecnico si sta concentrando a fare al meglio il suo lavoro partendo dal banalissimo presupposto che vincere le partite è comunque meglio (e più utile) che perderle. Che alla fine della fiera abbia proprio lui, il più precario di tutti, più ragione degli altri?