EDITORIALE – Presunzione, problemi e umiltà
Tuttavia, proprio a proposito di questa “voglia matta” del Mancio di tenere in panchina il centravanti nerazzurro si potrebbero spendere due parole e fare un piccolo excursus chiarificatore. Data come assolutamente certa dai soliti ben informati, in realtà l’intenzione del mister del Biscione avrebbe potuto benissimo essere quella di preservare l’attaccante più prolifico a disposizione per l’importante gara di domani contro il Napoli – applicando il più elementare turn over, una sfida che, a scanso di equivoci, vale la semifinale di Coppa Italia e, dunque, la possibilità di accedere all’Europa attraverso il secondo trofeo nazionale, specialmente considerando che tutte le altre contendenti rimaste in corsa sono davanti all’Inter in classifica. Ora, l’allenatore jesino ha delle colpe evidenti per il rendimento recente della squadra, molto più altalenante di quanto previsto al suo arrivo, ma da qui a immaginarlo relegare in panchina Icardi più o meno gratis solamente perché “non è il suo ideale di centravanti” pare obiettivamente esagerato, specialmente considerando la grana-Osvaldo: va bene tutto, ma Mancini non è un idiota e ha perfettamente presente chi in questo momento veda la porta (Icardi) e chi no (tutti gli altri) e, gusti personali o meno, il classe 1993 è anche l’unica prima punta arruolabile, se mai servissero altri argomenti per rafforzare la tesi. Tenere fuori l’argentino per sole ragioni tattiche non sembra una spiegazione così convincente, per quanto sia fuor di dubbio che l’attuale tecnico nerazzurro prediliga numeri 9 più tecnici, creativi e mobili che non l’ex sampdoriano ma non ha nessuno a disposizione con quelle caratteristiche in rosa (e, tanto per dire, anche Benitez ha escluso Hamsik dall’undici titolare che ha giocato a Verona contro il Chievo: il turn over non è proprio pratica rarissima nel calcio moderno).
L’errore che s’è rivelato piuttosto grave è invece la sottovalutazione del Sassuolo: un’Inter priva di Icardi, la sua principale e quasi unica bocca da fuoco, avrebbe potuto sconfiggere una compagine in salute come quella neroverde? La risposta s’è palesata domenica attorno all’ora di pranzo: no. Nelle delicatissime condizioni in cui è attualmente la Beneamata, praticamente qualsiasi avversario va affrontato con la massima concentrazione e con grande attenzione: l’impianto è troppo fragile per garantire una supremazia netta e tranquillizzante contro chicchessia, specialmente guardando all’abulia offensiva del Biscione, a tratti sconfortante. A Reggio Emilia s’è poi reso evidente per l’ennesima volta in stagione un deficit fisico preoccupante, intravisto già contro la Juventus, palesatosi contro il Genoa e sottolineato tre volte da Empoli, Torino e, appunto, Sassuolo. Se a questo aggiungiamo l’adozione sistematica di un modulo dispendioso e inadatto alle caratteristiche di alcuni giocatori come il 4-2-3-1, il quadro del tracollo domenicale è pressoché completo.
È una specie di gatto che si morde la coda o circolo vizioso (per i più raffinati): non c’è un tono atletico sufficiente a rendere fluido il 4-2-3-1 che quindi viene interpretato in modo incompleto e senza la necessaria mole di movimenti in fase di non possesso; chi già è schierato fuori ruolo non ha interiorizzato i movimenti da fare e rallenta il gioco così come fatica immensamente a pensare al meglio come distribuire il pallone e, soprattutto, non vede i compagni smarcarsi e muoversi senza palla (perché, simpliciter, non lo fanno; non hanno abbastanza gamba) ma, anzi, aspettano tutti la sfera tra i piedi; il pallone è spesso perso dopo appena due o tre passaggi consecutivi – di solito orizzontali, al centrocampo manca decisamente verticalità – così che gli avversari, a cui basta difendere ordinatamente senza perdere di vista gli attaccanti nerazzurri, ripartono in contropiede, approfittando anche del fatto che i terzini salgono tanto per offrire opzioni di scarico ai portatori di palla, altrimenti costretti a conservare il possesso. A questo punto la frittata è fatta: come già detto fino alla nausea, non c’è una buona condizione atletica di base (e qui il cerchio si chiude) e rincorrere l’avversario lanciato a rete diventa una fatica improba; se Handanovic o la difesa non salvano la situazione l’occasione è sistematicamente gol. Se poi a questa vulnerabilità evidente s’aggiunge che Zaza e Sansone erano in forma smagliante e hanno azzeccato due gol spettacolari, ecco la spiegazione precisa della sfida contro il Sassuolo.
Come uscirne?
La soluzione non è semplice. Il lavoro di Mancini dev’essere orientato a portare frutto l’anno prossimo, non tanto in questa stagione, già molto compromessa quando il mister ex City s’è risieduto sulla panchina di San Siro (peraltro complicata anche dall’imponente mercato invernale). A oggi, il lavoro quotidiano deve portare sicuramente a migliorare nel breve ma, soprattutto e contemporaneamente, esplodere nella prossima stagione, sperando di emulare la parabola di Brendan Rodgers nei suoi primi due anni di Liverpool (augurandosi però di non vivere il medesimo tracollo nel terzo): il tecnico nord-irlandese ha infatti seminato la sua idea di calcio nella squadra il primo anno, incappando anche in risultati poco positivi o non soddisfacenti, per poi coglierne i frutti durante il secondo e lottare per il titolo. Allo stesso modo, nonostante la lunga lista di aspetti da migliorare, il lavoro del Mancio sembra ben predisposto al domani; resta da risolvere però il nodo legato all’oggi. Una soluzione di transizione che possa consentire di lavorare bene anche in ottica futura può essere il 4-3-3 o il 4-3-1-2: entrambi moduli presentano un centrocampo più folto del 4-2-3-1 e sono più consoni alla rosa attualmente a disposizione, caratteristiche di ogni giocatore alla mano.
Quel che rimane da verificare è se l’attuale mister nerazzurro avrà la pazienza (e l’umiltà) di aspettare a imporre il suo schema prediletto passando per gradi intermedi e ammettendo implicitamente che, nonostante le migliorie, questa rosa non è pronta al 100% per le sue idee: vuoi per delle tare fisiche, vuoi per delle lacune della rosa, vuoi per una mentalità vincente che ancora non ha recepito.
Per quanto frustrante, aspettare è l’unica cosa che si può fare.