EDITORIALE – Come de Boer? Dietro i (pessimi) numeri questa volta c’è di più. L’Inter di Spalletti sta arrivando
I numeri contano, ma non dicono tutto. E l'Inter, quella vera, farà una grande stagioneA questo punto mi viene il dubbio: dove sbaglio? Sono un inguaribile ottimista? Girando un po’ tra giornali e social, mi verrebbe da rispondere di sì. Perché io alla seconda giornata di campionato proprio non ce la faccio a fischiarla, questa squadra. Tantomeno a prendere in mano il telefono e sentenziare che è tempo di congedare Luciano Spalletti. Alla seconda giornata. È proprio vero: noi che della nostra storia (giustamente) ci vantiamo, dalla nostra storia continuiamo a non imparare. Anzi. Se apriamo il libro dei ricordi, spesso è per andare a ripescare aneddoti negativi con cui intorbidire il presente.
Il giorno dopo il (mezzo) suicidio alla prima casalinga contro il Torino, che fa seguito al decisamente più brutto ko di Reggio Emilia contro il Sassuolo, l’umore non è chiaramente quello di dieci giorni fa, a mercato appena chiuso con una squadra che pronti-via secondo (quasi) tutti doveva dare due-tre martellate alle granitiche certezze di scudetto consolidate dalla Juventus in sette anni. Non uno, sette. Ma il fatto che per giustificare la rabbia e la delusione, più che comprensibili dopo una partita ed un avvio di stagione del genere, si finisca per accostare Luciano Spalletti a Frank de Boer questo no, non lo capisco. Vero che, come l’olandese e come ancor prima Gian Pier Gasperini, l’allenatore toscano ha conquistato un solo punto in due giornate di campionato e con avversari certamente alla portata. I numeri non mentono, ma non dicono tutto. Non prendono in considerazione, ad esempio, i contesti in cui sono arrivati questi (pessimi) risultati. Contesti neanche avvicinabili. Non sto qui a ricordarvi le tempistiche e le modalità con cui de Boer fu catapultato e si impose nel nostro pianeta, finendo per essere rigettato da squadra e tifosi in brevissimo tempo. Vi riassumo però alcuni punti cardine del momento che stiamo attraversando, una visione di insieme già persa da chi (e ce ne sono) sta già pensando alla prossima stagione con un nuovo allenatore.
Giovedì, al sorteggio per la composizione della fase a gironi della Champions League 2018/2019, verrà estratta anche la pallina contenente il nome dell’FC Internazionale. L’ultima volta era la stagione 2011/2012, per dire. Un primo traguardo per certi versi storico quindi, triste dirlo, soprattutto perché raggiunto con una rosa che oggettivamente non valeva il quarto posto conquistato per il vantaggio negli scontri diretti con la Lazio che ha chiuso il campionato con gli stessi punti nerazzurri. La palla decisiva e la copertina finale l’ha presa Vecino, il gap tra valore reale e risultato stagionale l’ha colmato nei mesi Luciano Spalletti. Che tra l’altro è stato il principale sponsor proprio di Vecino un’estate fa. A questa base sono stati aggiunti innesti importanti con un mercato calibrato che, visto l’impegno anche in Champions League, ha per forza di cose dovuto allungare la rosa dei possibili titolari, che ho personalmente ristretto a 16-17 elementi. In questo il mister di Certaldo è stato più ottimista di me, dichiarandone qualcuno in più. Vedremo.
Di questa lista fanno sicuramente parte, cerchiati per bene in rosso ed inseriti ai primissimi posti, elementi come Vrsaljko, Perisic e Brozovic, ritornati al lavoro da meno di un mese dopo le meritate vacanze post-Mondiale. E ovviamente Nainggolan, che ha saltato gran parte della preparazione per infortunio e spera di rimettere piede in campo sabato a Bologna per la prima volta con la nuova casacca. Sfumato il sogno Modric, al Ninja (preferito a Rafinha) ed a Brozovic sono state di fatto consegnate le chiavi di questa squadra. Sia chiaro: non che senza di loro non ci sarà l’obiettivo di vincere ogni partita da qui in avanti. Ma le scelte condivise tra società e allenatore indicano chiaramente che i due punti cardine del nuovo progetto-Inter sono loro due. Aspettiamo almeno di vederli, dunque. E di vederli veramente in condizione, che crescerà tra Bologna e la (benedetta?) sosta per le nazionali. Poi capiremo se aveva ragione Spalletti, che in mente ha obiettivi realmente ambiziosi, o chi già adesso ha capito che sarà un’altra stagione da “allergia, mai grave ma incurabile”, per citare firme autorevoli.
In attesa delle gambe, però, bisogna necessariamente lavorare sulla testa di questi giocatori. E qui, sì, Spalletti deve fare ancora di più. A tre gol evitabilissimi in due partite non ha mai fatto seguito una reazione in grado di portare al risultato sperato. In diretta tv, subito dopo i fischi dei quasi 60mila di ‘San Siro’, l’allenatore – che tatticamente aveva preparato benissimo la partita, dominando Mazzarri come nell’ultimo incrocio impostando la difesa a 3, ma sbagliando di nuovo nella gestione dei cambi (forze fresche al posto di Brozovic in mezzo e magari Lautaro Martinez un po’ prima avrebbero fatto comodo) -non ha saputo dare una spiegazione a questi cali improvvisi. Adesso tocca innanzitutto a lui, invece, capire come entrare ancora più a fondo nella testa dei suoi, individuare i leader caratteriali prima che tecnici di questa squadra, e martellare #senzatregua. Dopo tante annate partite bene ed affossate sul più bello, magari è arrivato davvero il momento di invertire completamente la rotta. Puntando su Luciano Spalletti, che ha ampiamente dimostrato di non essere come Frank de Boer, di avere un progetto solido e chiaro in mente con qualche licenza più che lecita, e che si è meritato sul campo qualche bonus di fiducia da spendersi lungo la strada. Strada che di certo non dovrà percorrere tra applausi ed elogi a prescindere, ma neanche attorniato da chi ha le dita sempre pronte a twittare il nome del nuovo salvatore da far sedere (e poi tritare) in panchina.
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