27 Maggio 2013

EDITORIALE – Speranze e paure di una storia già vissuta

Di Aldo Macchi

Si conclude un?altra stagione e di nuovo la prossima inizierà con un diverso allenatore. Non proprio una strategia che dimostra fedeltà e coerenza con il significato della parole usata spesso in questi mesi: progetto. A meno che il progetto non sia vincere, e questo sembra più una speranza utopica che una realtà prossima, la confusione è l’unico dettaglio che regna sovrano da troppo tempo a questa parte nell’ambiente nerazzurro. Tanti saluti a Stramaccioni, confermatissimo fino al giorno prima dell’esonero, saputo prima ancora dai giornali che dalla società. Mi limito a utilizzare il termine società, per evitare di addentrarmi in quello che è realmente accaduto, tra possibili telefonate indirette e reazioni di chiusura reciproche. Ciò che è chiaro e sotto gli occhi di tutti è che sta per iniziare un nuovo capitolo della saga dell’Inter targata Massimo Moratti: l’Inter di Mazzarri.

ISTRIONICO STRATEGA ? Di Walter Mazzarri si conosce molto, poco è ciò che nasconde all’apparenza l’allenatore livornese, passato alla storia per il suo carattere forte e focoso, le sue uscite spesso discutibili ma fatte per lanciare segnali o proteggere la squadra. Alcuni lo hanno definito una sorta di Mourinho, hanno anche aggiunto il termine ?dei poveri? ma a dirlo è stato quel Lo Monaco che tutt?oggi il portoghese stenta a ricordare. Sta di fatto che il rapporto tra Mazzarri e Mourinho non è mai stato di amicizia e raramente di rispetto. Tra asini che non diventeranno mai cavalli da corsa, e personaggi abituati a vincere grazie ai soldi e non con i giocatori, le provocazioni negli anni sono state molte. Un elemento questo che sembra fare da filo conduttore per molti allenatori arrivati all’Inter dopo il portoghese: Benitez, Ranieri, ora Mazzarri, tutti ?nemici? di colui che fece grande l’Inter. Per questo sarà ovvio che il nome dell’ormai ex allenatore del Real Madrid, verrà inserito nella conferenza stampa di presentazione di Mazzarri, come ormai abitudine per i suoi successori. Ma Mazzarri è uno stratega, pesa le parole e lavora sul campo, come l’illustre collega e per questo motivo il suo arrivo prospetta una speranza, ma anche una grande paura.

LE SPERANZE DEL CAMBIAMENTO ? La speranza è quella di avere finalmente a che fare con una personalità forte, in grado di spegnere sul nascere ogni possibile caso, cosa che ha sempre fatto in ogni ambiente. Il sogno è che con lui arrivi anche quel preparatore atletico che sembra rendere indistruttibili i giocatori delle squadre dove va. L’utopia è quella che in una stagione riesca a fare come Conte con la Juventus, trasformare una squadra di non fenomeni, fuori dall’Europa, in campioni d?Italia imbattuti per tutto il campionato. È sì vero che di trofei Mazzarri ne ha alzati ben pochi, ma spesso ha trasformato e anzi trasfigurato le squadre che ha allenato, facendole arrivare ben oltre ogni più rosea aspettativa. Le squadre dove è stato, dopo il suo addio, hanno sempre intrapreso un crollo, basti pensare alla Sampdoria, che dopo la qualificazione ai preliminari di Champions, complice anche la cessione di Cassano e Pazzini, è precipitata dalle stelle sfiorate alla retrocessione. Ma anche la Reggina, squadra che ha portato alla salvezza malgrado gli 11 punti di penalizzazione e ora incapace di tornare in serie A.

LA PAURA DEL BUCO NELL’ACQUA ? Ma ecco che questo porta comunque a un grande timore, alimentato dalle stesse parole di Moratti dei giorni scorsi: ?Gli allenatori sono tutti bravi, ma allenare l’Inter è un?altra cosa?. L’Inter, quella realtà che o ami o odi, un insieme multiforme di campioni che hanno sempre faticato, negli anni di morattiana memoria, a sentirsi squadra. La parola più vicina utilizzata da chi ha vissuto qualche periodo alla Pinetina è clan, un insieme di clan con più o meno potere, in grado di determinare le sorti di allenatori e compagni. Da questa visione estrema all’idea che non sia vero nulla ci sono mille possibilità, tra le quali quella di un gruppo che ha conosciuto la vittoria di tutto in età già matura, con un condottiero che li ha resi grandi e con doti che non hanno più visto in nessuno dopo di lui. L’idea che chi c’è qui ha vinto e chi arriva ancora non ha vinto nulla, porta l’ambiente a surriscaldarsi alla prima incomprensione o esclusione. A questo si aggiunge il dettaglio della totale solitudine di cui godono gli allenatori nerazzurri. Nessuno che metta la faccia a parte loro, salvo poi essere gli unici a rimetterci il posto. È successo con chi ha vinto e con chi ha fallito, se si tocca la società, o meglio, qualcuno della società, il tuo posto scricchiola. Perché quel gran timore che scorre nelle mie vene in questi giorni è che i clan non siano solo nello spogliatoio, ma anche in società: un clan particolare, poiché formato da una persona sola. Ogni anno gli si aggiunge un collega con cui dovrebbe cooperare, ma alzi la mano chi ha mai visto o sentito parlare nello stesso luogo e dello stesso argomento, nell’ordine, Branca, Ausilio e Fassone. Il primo quando fa dichiarazioni è distruttivo, e il presidente del Galatasaray ancora ringrazia per l’insperato sconto avuto grazie alle dichiarazioni del dirigente nerazzurro, l’ultimo ha ormai la semi paranoia dello stadio di proprietà e ancora deve spiegare la foto anti interista mostrata in uno degli striscioni della curva. Infine c’è Ausilio, il tipico dirigente senza portafoglio, che scruta all’orizzonte possibili offerte ma che non ha potere decisionale e contrattuale. Ultimamente era stato inviato lui in prima persona a comporre le trattative, e i risultati sono anche arrivati. Ma a saltare, ancora una volta, è stato l’allenatore e magicamente il primo membro della triade è ricomparso, capace solo di dire: ?Noi accettiamo le critiche?, in relazione agli applausi scroscianti provenienti dallo stadio intero davanti allo striscione della curva: ?Siamo sicuri che il signor Branca sia esente da colpe?? La paura è quindi quella di un altro buco nell’acqua, di un ennesimo passo falso, perché tutto cambia affinchè tutto resti uguale. Mazzarri è una figura forte e uno dopo l’altro tutte queste figure sono state messe alla porta, Stramaccioni ci era andato vicino: ?Presidente cambi tutti quelli che ci sono intorno a me e al resto penso io?, Moratti era quasi convinto perché a lui l’allenatore romano piaceva, ma i risultati dell’ultimo mese erano contro l’allenatore, perché in campo non ci vanno i giocatori comprati, o meglio non comprati, negli ultimi tre anni, ci va l’allenatore, quello che appunto ci ha sempre messo la faccia, quello che ogni domenica si faceva carico di responsabilità e critiche perché in quel momento lui e solo lui incarnava l’Inter.

IL VUOTO  – Ad ogni partita delle altre squadre si sente parlare un dirigente, che sia Marotta, Galliani, Pradè o Sartori, per l’Inter sempre e solo Stramaccioni o Moratti, il giorno dopo, fuori dagli uffici della Saras, non della sede dell’Inter, perché Moratti è il presidente di una società di cui è finanziatore prima di tutto. In quella società c’è il vuoto, le ragnatele, stanze piene di persone senza voce, persone di cui ha bisogno gente come Mazzarri per poter portare avanti le sue battaglie senza farsi schiacciare dal peso della solitudine. Ha bisogno di poter andare avanti sicuro che ci sia un ambiente dietro che gli guardi le spalle, lo stesso che pensava di avere Stramaccioni fino a quando, voltandosi, ha visto il suo posto occupato da un altro, le sue certezze dileguarsi e il vuoto che sentiva ma che non voleva ammettere, appropriarsi anche delle sue parole. Mai come ora si è visto uno Stramaccioni così silenzioso, deluso e senza quel sorriso sornione che lo aveva portato ad essere l’allenatore scelto da Massimo Moratti, lo stesso che ora ha scelto Walter Mazzarri, preferendo forse non scegliere affatto.