EDITORIALE – Tirare avanti per il gusto di farlo
L'Inter si trova, per l'ennesima volta, a rimettere insieme i cocci di un vaso rotto ormai ormai da tempoUn altro lunedì desolante che segue un’altra domenica sconcertante. Un’altra partita contro un’avversaria ampiamente alla portata e, anzi, forse persino più in crisi dell’Inter – cosa rara di questi tempi – ma niente, l’ennesima sconfitta di una stagione che è a un passo dallo stabilire il record di sconfitte del Biscione in Serie A (formato venti squadre). Avendo a disposizione una rosa arrivata quarta lo scorso anno e, in teoria, rafforzata da una campagna acquisti da ben più di cento milioni senza però alcuna cessione di rilievo. In due parole? Lo sconforto.
La squadra diventa più indifendibile ogni santa settimana che il Cielo ci regala e non solo per le prestazioni in campo ma anche – e a volte soprattutto – per quello che i protagonisti dicono. Le dichiarazioni post partita di Pioli degli ultimi quaranta giorni si ripetono sempre talmente uguali a sé stesse che paiono essere effettivamente copiate e incollate intervista dopo intervista: ormai suonano di un vuoto che anche un accenno ai cambiamenti del meteo potrebbe risultare una piacevolissima novità pregna di significato. Ma tutto sommato si può anche capire, considerando la situazione del tecnico nel suo complesso e contestualizzando il contestualizzabile relativamente all’ambiente e all’andamento della stagione.
È molto peggio quel che dicono i calciatori. E come lo dicono.
L’intervistato di turno ha tendenzialmente sempre un andamento patibolare, proprio di chi – più che a rispondere a diverse domande – toccherà essere impalato dopo aver dovuto compiere la danza del rito di passaggio dell’uomo chiamato cavallo (appensione di fronte alla sede dell’Inter tramite uncini nei capezzoli inclusa). Anche qui il ritornello è trito e ritrito ma, chissà perché, i richiami al blasone, all’onore, all’impegno suonano sempre drammaticamente futili, trascurabili, inutili e, più che il resto, falsi. Falsi.
Se poi invece prendiamo le dichiarazioni più generali, possiamo incocciare nel D’Ambrosio di turno che ammette di aver mollato (la squadra, mica solo lui) senza sembrarne nemmeno particolarmente costernato, come se fosse inevitabile. Adesso lui è uscito allo scoperto e ha concentrato su di sé il maggior numero di maledizioni quando, invece, è uno dei meno responsabili, tabelle di rendimento alla mano; comunque non è ciò che conta perché il punto è un altro.
L’Inter, quest’anno, inteso come collettivo di calciatori, si è impegnato a fondo con continuità solo tra novembre (neanche tutto) e fine marzo. Considerando che Pioli non è arrivato subito dopo l’addio di de Boer, peraltro immediatamente prima di una pausa di due settimane, e che a dicembre ci sono state le vacanze di Natale, si può dire che su una stagione da dieci mesi e mezzo (preparazione estiva inclusa) la rosa ha fatto il suo dovere davvero per quattro mesi circa. Meno della metà del tempo. Questo la dice lunghissima sul livello di disciplina percepito dal gruppo. E della latitanza societaria.
In tutto ciò, è retorico ma è verissimo, i veri eroi dell’anno sono ancora una volta i tifosi. Tutti. Sia quelli che vanno allo stadio, sia quelli che si distruggono il fegato di fronte a uno schermo. Perché ormai tirano avanti per il gusto di farlo e, a differenza dei calciatori, non sono pagati per vestire il nerazzurro. Procedono solo per la speranza di vedere una squadra che non faccia poi così atrocemente schifo, comunque pronti/rassegnati all’evenienza che le loro (adesso pure basse) aspettative possano essere perfino disilluse.
Loro meriterebbero non altri risultati, per carità, ma almeno un altro atteggiamento.
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