EDITORIALE – Tutto in sessanta metri
Da queste stesse colonne abbiamo sempre cercato di essere giudici imparziali sulle vicende di campo nerazzurre, cercando di analizzare e commentare di settimana in settimana gli accadimenti topici che coinvolgono il Biscione e, ultimamente, spesso abbiamo indirizzato il nostro cono di luce sulla tattica, cercando di ipotizzare le migliori soluzioni possibili per i problemi che riscontra il Mancio adesso e per quelli che affliggevano Mazzarri prima, così come varie volte è stato invece opportuno interrogarsi sulla condizione atletica complessiva della Beneamata, mai apparsa particolarmente scintillante.
Stabilizzatasi intanto la squadra sul miglior modulo a disposizione viste le caratteristiche della rosa, il 4-3-1-2 nato dalle ceneri di un 4-2-3-1 che mai è parso particolarmente convincente, oggi è più che mai necessario concentrarsi su due aspetti lacunosi del gioco nerazzurro e che ieri sono diventati enormi voragini dove il Napoli ha potuto sguazzare e costruire il suo vantaggio che, poi, grazie a un’inversione a U piuttosto tipica del modus vivendi della squadra partenopea, Palacio e Icardi hanno saputo annullare. Il risultato finale però non va preso come palliativo in grado di oscurare il male che affligge ora l’Inter: il 2-2 è solo lo zucchero con cui addolcire la pillola affinché non risulti amara, non certamente la cura definitiva per la malattia. E, nello specifico, la malattia si esplicita in due manifestazioni piuttosto chiare che andrebbero corrette il prima possibile.
Prima di tutto: la scarsa compattezza tra i reparti. Per giocare con una difesa alta e con due terzini in perenne percussione offensiva (o pronti alla percussione offensiva) come piace a Mancini, al di là della solita tenuta atletica approssimativa che si stigmatizza da inizio stagione – concausa di questa incapacità cronica di serrare i ranghi, serve anche mantenere molto più basse le distanze tra i vari reparti, cosa che molto raramente accade. In quasi ogni partita, infatti, la Beneamata si trova a dover giocare senza riuscire a evitare un progressivo scollamento tra difesa, centrocampo e attacco, con i giocatori che sono spesso costretti a corse a vuoto sia avanti sia indietro, mancando fin troppo sovente dei riferimenti precisi (cioè la posizione dei compagni). Conservare il possesso palla quando la formazione è distesa su 60 metri invece che su 35 diventa poi veramente complesso: anche così si spiegano tutti i palloni apparentemente facili gettati alle ortiche in fase di costruzione.
Secondo e preoccupante problema: la transizione difensiva. Le marcature preventive nerazzurre, per usare un eufemismo, funzionano poco e male, anche qui costringendo i più volenterosi (tipo Medel) a un super lavoro fisico richiesto da una sorta di roaming difensivo libero che indubbiamente penalizza non solo la lucidità nei momenti di possesso, ma anche la ricerca di un equilibrio difensivo affidabile (col cileno chiamato a mettere una pezza lungo le bande laterali si aprono buchi in mezzo, inevitabilmente). I movimenti in fase di attacco della palla quando non si è in possesso sono macchinosi, spesso lasciati all’iniziativa individuale e il pressing non è mai organizzato coerentemente; in particolare, le mezzali, chiunque esse siano, non aiutano abbastanza i terzini (tradotto: raddoppiano pochissimo e quasi mai efficacemente, come dimostra la superficialità di Guarín in occasione del gol di Higuaín).
Due problemi causati da più mancanze generali della squadra e da lacune che non si possono risolvere in poco tempo e che andranno aggiustati per forza in estate. Di sicuro, però, sarebbe il caso di cercare di metterci una pezza il prima possibile perché giovedì, dall’altra parte del campo, ci sarà il Wolfsburg e, in ambito internazionale, le squadre tedesche non sono concentrate: di più. Dunque non ci si potranno aspettare i regali di Albiol ed Henrique dietro così come in tutto quello spazio tra le linee che l’Inter concede, i Lupi di Sassonia potrebbero semplicemente devastare (se Higuaín, Mertens e Ham?ík ci hanno danzato dentro graziando più volte i pali nerazzurri, i vari Dost, Schürrle, de Bruyne e compagni potrebbero quanto meno insediarcisi).
La questione è urgente, l’Inter deve farsi provinciale una volta di più nella sua storia, quanto meno dal punto di vista dell’umiltà: va bene cercare di giocare sempre palla a terra e buttare la questione sul fraseggio ma ignorare i propri limiti, perlomeno in Europa, è quasi sempre un suicidio.