EDITORIALE – Un 2014 nerazzurro
di Giorgio Crico.
E così ci siamo lasciati alle spalle il 2013. Non è il caso di soffermarsi troppo sulle vicende dell’anno passato, sia quelle sul campo (brillantemente riviste e valutate dall’impeccabile Claudio Colombrita nel suo Pagellone di fine anno), sia quelle fuori dal campo. La sensazione è che siano stati 365 giorni densi di avvenimenti, iniziati con la querelle Sneijder e conclusi con un meraviglioso colpo di tacco di Rodrigo Palacio.
L’attenzione, ora, la merita tutta questo nuovissimo 2014, che al momento non ha ancora nemmeno compiuto 24 ore di vita. Inutile nasconderlo, il popolo nerazzurro si attende un nuovo anno che possa curare le ferite che gli sono state inferte da una prima parte disastrosa (il lento quanto inarrestabile declino della squadra di Stramaccioni dal terzo al nono posto) e magari regalare qualche soddisfazione, come, nonostante tutto, anche il 2013 ha fatto (si parlava di colpi di tacco, no?). Il punto è proprio questo, le soddisfazioni. Dice il saggio che più ti senti soddisfatto più basse sono le aspettative: al netto del fatto che quando si è l’Inter è sempre obbligatorio provare a cogliere il bersaglio più grosso possibile, con la rosa di questa stagione non ci si può aspettare di sicuro lo scudetto. Può non piacere a molti ma la verità è questa ed è manifesta.
La classifica parla chiaro, la Juventus ha già troppi, troppissimi punti di vantaggio rispetto al cantiere nerazzurro messo in piedi da Walter Mazzarri: paradossalmente, però, potrebbe anche essere una buona cosa, visto anche l’eccessivo entusiasmo di novembre 2012 post vittoria deflorante dello Juventus Stadium. In realtà, l’obiettivo era e rimaneva quel terzo posto che vuol dire preliminari di Champions League (scoglio che comunque va sempre superato nonostante si parli fin troppo spesso di “terzo posto Champions”; chiedere a Udine, là ne sanno qualcosa). Per quanto sia un traguardo teoricamente possibile, anche solo essere in quei dintorni non deve far dimenticare che la rosa attuale sta rendendo ben oltre quello che è il suo potenziale, se non magari in termini di classifica, senz’altro in termini di punti.
La squadra ha funzionato talmente bene per i primi due mesi e mezzo di Serie A che alcuni passi falsi fisiologici come quelli contro il Torino, l’Atalanta o il Bologna (trasferte comunque e sempre insidiose) sono stati vissuti come autentiche sconfitte, quando invece sono state gare che fino a sette od otto mesi fa non avrebbero portato nemmeno un punto. Avere solo due punti in meno di una Fiorentina che può vantare, checché se ne dica, un organico superiore a quello dell’Inter, particolarmente a centrocampo, dev’essere motivo di vanto e soprattutto sprone per fare ancora meglio. Magari con l’ausilio del mercato (sì, anche Piero).
Personalmente, se potessi dare un consiglio ai lettori, vorrei incoraggiare tutti a sognare, senza smettere di sostenere la squadra, sia che si prendano gol assurdi come il 3-3 dal Parma in casa, come il missile di Renan della Sampdoria o il contropiede di Kone a Bologna, sia che si sfoderino prestazioni maiuscole come a Udine, contro il Sassuolo, con la Fiorentina o di fronte alla Juventus.
Sognare perché non costa nulla, sognare per rimanere entusiasti del Biscione comunque vada, sempre e comunque, sognare per contagiare magari anche Erik Thohir, chiamato a metterci del suo per migliorare un’ensemble con ancora ampi margini di crescita. Sognare anche per Walter Mazzarri, che ha accettato di mettersi alla guida di un’infermeria ambulante come pareva essere la Beneamata pochi mesi fa e che lui soprattutto ha provveduto a dotare di un’anima.
E allora sogniamo, sogniamo comunque: magari non lo scudetto ma una Coppa Italia perché no? Sarebbe anche di buon auspicio: una Tim Cup aprì il ciclo iper vincente di Mancini e Mourinho e lo chiuse quando in panchina sedeva Leonardo. Le fasi si aprono e si chiudono: all’Inter si sa, molte volte l’armata nerazzurra ha funzionato, appunto, ciclicamente.
Sogniamone un altro allora, ancora una volta.