EDITORIALE – Vivere il contrasto
È dura concentrarsi nei giorni immediatamente successivi al Natale, la mente vaga in un Iperuranio fatto di polpettoni, lasagne e dolciumi di ogni sorta. Nonostante la velocità di pensiero sia più o meno la stessa di Ricky Álvarez quando è in possesso di palla e non sa a chi passarla (tra l’altro, ben tornato in […]È dura concentrarsi nei giorni immediatamente successivi al Natale, la mente vaga in un Iperuranio fatto di polpettoni, lasagne e dolciumi di ogni sorta. Nonostante la velocità di pensiero sia più o meno la stessa di Ricky Álvarez quando è in possesso di palla e non sa a chi passarla (tra l’altro, ben tornato in Italia a mister Maravilla, che delizierà – forse – i tifosi della Sampdoria), ricominciando a ponderare cose calcistiche dopo la sbornia da festività non si può fare a meno di guardare all’Inter percependo un conflitto dentro di sé.
Intuendo che questo, stranamente, non è dato dalla difficoltosa digestione di quel torrone farcito ricoperto di cioccolato e spruzzato di tartufo che aveva un’aria invitante bensì è qualcosa di più intimo, simile a quello che Darth Vader nega ma che, al termine de Il Ritorno dello Jedi, esplode in lui redimendolo. Il contrasto interiore provocato dalla situazione nerazzurra – inevitabilmente acuito dal tifo – è articolato, complesso, si dipana su più livelli e si annida nelle profondità più insospettate mentre aspetta di spuntare fuori a tradimento dall’anima e insinuare il dubbio nell’orecchio non appena può. Alla faccia della presunta serenità delle feste.
Il nucleo del dilemma intimo, tuttavia, è abbastanza semplice: quanto credito dare a quest’Inter?
Ovviamente il quesito in questione avrebbe un sapore più beatamente incredulo se il sipario finale sul 2015 che è stato lo scontro con la Lazio si fosse risolto in una vittoria e non una sconfitta; non si può negare che il dubbio aleggi più marcatamente su Appiano Gentile a causa di quel risultato tutto sommato sorprendente. Al contempo, è anche vero che non bisogna lasciarsi trascinare troppo a fondo dai pessimismi comici solo per colpa di quel match disgraziato, ancora sorprendentemente vivo nei nostri ricordi semplicemente perché è stato l’ultimo. Quindi, provando a recuperare l’equilibrio e l’oggettività messi a dura prova dall’anatra all’arancia della nonna e da quella bottiglia di vinello speciale che-proprio-non-puoi-provarlo-perché-è-veramente-fantastico-sai-se-non-bevi-mi-offendo dello zio, tutto sommato non si può negare alla Beneamata una certa fiducia nel breve termine. Quanto fatto da fine agosto a oggi, al netto di una conclusione senza fuochi d’artificio, merita senz’altro un aumento esponenziale della credibilità della squadra presso i tifosi se non addirittura un encomio. Del resto lo dicono i semplici risultati: l’Inter è ancora lassù in cima e ha condotto una prima parte della stagione non solo impronosticabile – come rimarcano giustamente in molti – ma anche di notevole spessore.
Proprio questo fattore, però, ha anche alzato enormemente le aspettative e, con esse, il margine di dubbio: il rischio che la formazione di Mancini abbia già dato il meglio di sé esiste e che quindi la seconda parte di stagione che l’attende sia necessariamente in calando. Questa non proprio allegrissima prospettiva non migliora se si pensa che il gioco collettivo non è ancora decollato: certo, sono stati innegabilmente fatti dei passettini in avanti, ma la situazione non è florida da quel punto di vista e una manovra d’insieme che possa sopperire alle mancanze dei singoli è una condizione necessaria per un undici che ambisce a disputare un intero torneo in lotta per lo scudetto. Chiaramente diventa meno preponderante nel momento in cui l’obiettivo è la “semplice” qualificazione in Champions League ma le concorrenti di quest’anno, tra Napoli, Juventus, Fiorentina e una Roma ipoteticamente rigenerata, sono particolarmente agguerrite e non è detto che i colpi di genio dei migliori possano bastare a traghettare la Beneamata tra le prime tre. Ma il dubbio resta: quest’Inter vuole lottare per il tricolore o si può accontentare del podio?
Qui l’animo viene dilaniato ulteriormente: la spinta “tifosa” vorrebbe poter sperare – più ancora che toccare con mano – in un’Inter competitiva per il tricolore mentre quella più “razionale” si accontenterebbe della qualificazione (e dei soldi) in Champions. I giocatori affermano di credere alle proprie chance di competere per il titolo fino alla fine e sembrano dare segnali convinti in quel senso tuttavia l’aficionado non può consentirsi di crederci con leggerezza, dopo tutto è normale che nell’ambiente si facciano grandi proclami di vittoria: se nemmeno colui che va in campo alla domenica può credere di avere delle chance di vittoria, chi può farlo al suo posto?
Quindi, tornando a bomba al cuore del problema, si può concludere che la radice profonda del dilemma sia ancora una volta l’Inter stessa. Così capace di cambiare pelle nel giro di appena qualche mese, così in grado di maturare in pochissimo tempo e brava a riscoprirsi solida quando nemmeno Thohir poteva anche solo immaginarlo: questa è stata la trasformazione del Biscione negli ultimi sei mesi, un processo di mutazione radicale a cui il semplice dire “dall’ottavo al primo posto” non rende totalmente giustizia. Vedendo come sono andate le cose nel primo scorcio dell’attuale stagione il dubbio che, in fin dei conti, farsi troppe domane non ha molto senso: forse val più la pena aspettare le risposte dal campo, dilaniati sì ma sempre speranzosi.