EDITORIALE – Wake up call
Sfortunatamente intraducibile in italiano senza perdere la sua peculiarità originale, wake up call significa letteralmente, in inglese, “telefonata di sveglia” ed è quel servizio richiedibile negli alberghi internazionali grazie al quale la conciergerie, opportunamente preallertata, si incarica di telefonare ai clienti di prima mattina per svegliarli. Se l’Inter fosse un ospite ambizioso di un albergo […]Sfortunatamente intraducibile in italiano senza perdere la sua peculiarità originale, wake up call significa letteralmente, in inglese, “telefonata di sveglia” ed è quel servizio richiedibile negli alberghi internazionali grazie al quale la conciergerie, opportunamente preallertata, si incarica di telefonare ai clienti di prima mattina per svegliarli.
Se l’Inter fosse un ospite ambizioso di un albergo un tempo maestoso e adesso in decadenza (ma pur sempre prestigioso) chiamato “Serie A”, ci si augurerebbe che la sconfitta con la Fiorentina servisse esattamente da wake up call. Troppo netta per essere sbrigativamente archiviata come un incidente di percorso e troppo piena di indicazioni per una rilettura superficiale, la disfatta di ieri sera ha messo in mostra i due principali limiti che Mancini ha cercato di occultare fin dall’inizio del campionato: la scarsa coesione della squadra derivante dall’inserimento di tanti elementi nuovi durante l’estate e la mancanza strutturale – almeno per ora – della capacità di cucire gioco dal basso.
Il fatto che il Biscione abbia una formazione profondamente rinnovata rispetto allo scorso anno è emerso in tutta la sua evidenza nella confusione tattica conseguente ai tentativi del Mancio di rimettere in carreggiata i suoi dopo il primo (e già fatale) cedimento. La scarsa abilità dei suoi a scambiarsi efficacemente di posizione e, più in generale, di mutare pelle in base all’esigenza del momento ha infatti reso palese come i vari pezzi del puzzle nerazzurro non siano ancora perfettamente al loro posto (ed è naturale visto che alcuni elementi sono in rosa da nemmeno un mese) e che quindi spostare bruscamente gli equilibri tattici raggiunti nelle prime cinque uscite ha avuto un effetto esattamente contrario rispetto a quello che si augurava il mister jesino.
L’altro limite, forse più grave anche se il primo ne rappresenta un alleggerimento per ovvi motivi, è emerso con altrettanta forza: l’Inter non è (ancora?) una squadra in grado di costruire dal basso perché non è stata pensata per farlo – lo ribadiamo, almeno per ora. È vero che Mancini sta lavorando sulla conservazione del possesso di palla da mesi e mesi e che ha bisogno di altro tempo per sistemare i meccanismi di gioco (attualmente del tutto delegati alle singole iniziative) ma l’idea della sopraffazione dell’avversario mediante la conservazione del possesso, la maggiore forza fisica e il graduale avanzamento del predominio territoriale non sempre può dare buoni esiti, specialmente quando si incontra una squadra organizzata e abile nel pressing alto come la Fiorentina.
La Viola, infatti, è stata la prima avversaria della Beneamata di quest’anno che ha dimostrato di saper pressare alto in maniera efficace ed è bastata un’aggressività ben studiata e organizzata per mandare fuori giri le “menti” del gioco (?) arretrato nerazzurro; il risultato è sotto gli occhi di tutti. Questa considerazione ci porta direttamente a pensare che ci sono tanti meriti di Paulo Sousa nella preparazione del match ma è anche vero che, se il tecnico portoghese ha saputo preparare la sfida così bene, è stato a causa della leggibilità delle idee e delle filosofie che muovono attualmente il Biscione (e questo è un fatto). Non solo: la sconfitta getta una nuova luce anche sulle vittorie che hanno preceduto il tonfo di ieri, arrivate contro squadre decisamente inferiori sul piano tecnico – e quindi incapaci di sfruttare le falle dell’Inter per limiti propri nonostante le avvertissero, magari – o in fase di allestimento tanto quanto lo è l’Inter (il Milan) e quindi ancora lontane da quel che dovrebbero essere effettivamente. In questa logica s’inserisce nuovamente il nostro primo assunto: una squadra che ha cambiato relativamente poco come la Fiorentina e che disponeva di un piano tattico preciso incardinato sulle peculiarità di una rosa abituata a giocare e da anni ha avuto anche gioco facile a condurre le operazioni, soprattutto dal momento del 2-0 in poi, su una compagine messa insieme da poco e che per ora poco ha sviluppato come identità di gioco.
Tuttavia, per quanto difficilmente ignorabile e, anzi, probabilmente costituisca una lezione da mandare a memoria il prima possibile, il ko con la Fiorentina rappresenta comunque un singolo episodio nel cammino dell’Inter versione 2015/2016 (perlomeno dal punto di vista del risultato) e non bisogna né arrabbiarsi né spenderci su troppe lacrime perché l’auspicio è sempre quello che venga interpretato come un colpo di sveglia che riscuota dal torpore l’ambiente nerazzurro, forse già un po’ troppo soddisfatto dopo l’ottima partenza.
Un colpo di sveglia che possibilmente metta anche fretta al Mancio nell’elaborare strategie di gioco più varie di quella praticate finora e in grado di risolvere (perlomeno parzialmente) i problemi di gioco evidenziati dal dolorosamente splendido lavoro di Sousa. Qualche evoluzione fino allo scontro col Chievo s’era vista, si tratta solo di tornare in carreggiata più saggi e ripartire con slancio, senza cadere nella tentazione dell’autocommiserazione funebre anticipata.
Per il lutto, in fondo, c’è sempre tempo dopo.