L’INTERTINENTE – Buon compleanno, Ernesto! Gli 80 anni di un Presidente per vocazione
Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza d’essere nerazzurriIn epoca di pandemia e di facili isterismi, stare al passo del quotidiano è divenuto quasi impossibile: la rapidità con la quale le informazioni corrono è al limite del supersonico, ed esserne al corrente è uno sforzo arduo, per non dire inumano. Il rischio che qualcosa sfugga e non si riesca ad afferrare, è tanto grande quanto la possibilità di capovolgere il senso delle cose, ingigantendo le inezie e banalizzando la serietà.
Questo approccio è la prassi quando si parla di Inter, specie dopo una settimana di commenti non propriamente lusinghieri sui recenti risultati: il mancato prosieguo dell’esperienza in Champions League e la estromissione dall’Europa calcistica in generale hanno provocato sgomento ed inquietudine nell’orbita nerazzurra, giungendo anche a mettere in discussione la morale dell’intera stagione.
Anche se, però, l’amore per la verità imporrebbe d’essere più precisi: pur nella incomprensione di alcune strategie di Conte – vedi staticità filosofica e manfrine varie con Eriksen – e nella delusione per l’amaro calice della partita contro lo Shakhtar Donetsk, l’Inter è ad oggi seconda in campionato a soli 3 punti dal Milan, e con tutte le carte in regola per ambire ad obiettivi potenzialmente vincenti.
Della serie “Scomponiamo la realtà e riassembliamola come ci pare”, che spesso distoglie il focus da una cronaca che dovrebbe concentrarsi più sulla oggettività dei fatti, che sulla loro rielaborazione polemisteggiante.
Ma ogni norma ha la sua eccezione, ed anche questa non è da meno, perché per quanto il tempo possa essere scattante e sfuggente, determinate ricorrenze non possono essere dimenticate, né subire ridimensionamento alcuno. Infatti, gli 80 anni di Ernesto Pellegrini sono un tuffo nell’epoca trionfale di un Interismo particolare e dunque immortale, a discapito di quello odierno – marcente nella melma delle critiche esagerate e spesso pretestuose, e delle faide interne ai suoi stessi fedeli -, ed una fuga nostalgica ed affascinante dal racconto di un’Italia impaludata nello scoramento.
Nel primo verso, l’esperienza presidenziale di Pellegrini è stata un percorso di maturità verso il quale l’impresario meneghino desiderava indirizzare l’Inter, e di cui voleva essere artefice: declinare l’Internazionale nello spirito della milanesità, ovvero un radicamento nella laboriosità come vettore di zelo ed obiettivi.
Sostanzialmente, Pellegrini è stato protettore dell’anima dell’Inter in seno alla sua identità territoriale e alla sua tradizione storica, che si ricollegano sì ad una sfaccettatura di Milano forse un po’ altolocata e sfarzosa, ma di cui Ernesto mostrò il lato operoso ed instancabile, come comprovato da Rummenigge, Trapattoni, Matheus, Klinsmann, lo Scudetto dei Record del 1989, le Coppe UEFA e l’intero arco pluridecennale del suo mandato, prima del passaggio di consegne a Massimo Moratti nel ‘95.
Sul fronte aziendale, la raffinatezza e il trasporto sono stati il filo conduttore della dottrina professionale di Pellegrini, che l’attualità osserva, tramanda, ed apprezza per riempire i contemporanei vuoti valoriali ed etici e per essere esempio di una cultura d’impresa inclusiva e pedagogica per metodismo e visione d’insieme, capace di navigare nelle crisi più disparate, mantenendo salda la rotta.
Un Presidente per vocazione, più che di professione: la parafrasi di un infaticabile istruttore al lavoro per la vita, e non alla vita per il lavoro, così come fu predicatore del messaggio nerazzurro ereditato dagli avi e donato ai posteri. 80 anni sono anche pochi, se a meritarseli è un totem del calibro di Ernesto Pellegrini.
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