EDITORIALE – Un rimedio peggiore del male
Il consueto editoriale del lunedì, stavolta teso a difendere Frank de Boer, sedotto, abbandonato e pronto a essere immolato sull'altare delle ambizioni senza costrutto di quest'Inter. Come se assumere un altro possa migliorare la situazione...Seguire e raccontare l’Inter è uno stillicidio. Prima a livello emotivo, poi neuronale e, alla fine, strutturale. Nel senso che prima ci si fa male al cuore, osservando come l’ambiente non riesca mai a sviluppare la giusta crescita bruciando anche dosi notevoli di talento, poi ci si brucia il cervello perché si indagano le cause dei fallimenti senza mai trovare spiegazioni del tutto soddisfacenti. Infine si termina mandando in vacca anche tutto il resto per la frustrazione di dover assistere sempre allo stesso, agghiacciante spettacolo, quello di un Sisifo nerazzurro che non solo perde di volta in volta la sua roccia ma ne resta addirittura schiacciato.
Tra le capacità inarrivabili del Biscione di farsi male da solo che rispuntano fuori costantemente, tra la piazza che invoca sempre e solo risultati e l’impossibilità di mutare significativamente la propria storia perché, anche quando si prova a cambiare, si finisce sempre e comunque a rinunciare a ogni piano in nome della vittoria più immediata possibile. E la morale finale è che le speranze di riscatto sull’Inter sembrano sempre destinate a durare quanto il battito d’ali di una farfalla, tendenzialmente d’estate. E intanto il successo non arriva mai, chiaramente.
Questa sorta di tritacarne perenne (che è parte dell’anima profonda dell’Inter) pare essere il tratto distintivo della società, la costante che prosegue immutabile il suo cammino a prescindere da tutti i cambi di proprietà al vertice possibili. La surreale vicenda de Boer ne è solo l’ultima manifestazione.
Arrivato come sappiamo ai nastri di partenza di una nuova stagione, chiamato a guidare una squadra che di suo non aveva nulla e costretto dalle contingenze – che ha comunque accettato – a confrontarsi con un contesto nuovissimo che peraltro non ci ha messo niente a rendersi tremendamente inospitale verso di lui. In più, l’ovvio adattamento della squadra ai suoi principi di gioco, piuttosto distanti e infinitamente più forti di quelli di Mancini. La situazione di partenza era già bella complessa. E ancora: il caos di Icardi, le bizze di Brozović, le continue pause per le Nazionali e i risultati a singhiozzo, fino alle tre sconfitte consecutive in campionato. Ed ecco che il dramma è pronto per essere servito.
Ora c’è chi dice che rischia la panchina, molti di più sostengono che sia in realtà già condannato e che resti in sella solo perché non c’è stato materialmente il tempo di esonerarlo adesso. Un dead man walking, in pratica. In più sono arrivate le parole di Miranda a Sky («Bisogna cambiare la forma di gioco (…) e difendere più bassi») e di Éder subito dopo la sconfitta con l’Atalanta («Non riusciamo a fare sempre ciò che vuole il mister e… non capiamo bene perché»), immediatamente prese come segnali di uno scollamento tra il tecnico e lo spogliatoio. Che ci sia una frattura va ancora dimostrato in realtà, che però i giocatori affrontino le partite a giri del motore ridotto è invece manifesto. Ed è sconcertante, francamente. Sconcertante perché i calciatori nerazzurri, anch’essi frustrati dalla situazione, non riescono a capire che mettere in pratica le idee del tecnico al 30% non può pagare in alcun modo e che giocare col freno a mano tirato non aiuta a trovare le vittorie (anzi).
Allo stesso modo, è preoccupante l’involuzione di gioco vista contro Southampton e Atalanta, due risultati agli antipodi figli però di prestazioni non dissimili e ci si chiede: sono solo due episodi isolati tipo la trasferta di Verona col Chievo? O forse de Boer sta rinunciando alla sua filosofia di gioco perché innervosito dalla mancanza di risultati? Sta cercando di adottare uno stile più ruvido e risultatista? Se fosse vero, sarebbe questo l’errore capitale imputabile all’olandese perché il vecchio Frank non deve in alcun modo rinunciare ai suoi principi e alle sue idee: chi è dalla sua parte si fa forte proprio delle sue convinzioni per sostenerlo.
In tutto ciò, la società è colpevole di non aver sostenuto il mister prima di tutto all’interno delle mura amiche di Appiano Gentile e poi con la stampa, la quale ha iniziato a trattarlo persino peggio di prima e come se fosse quasi un cretino, recentemente. Una scarsa convinzione sull’uomo in panchina che si evince anche in queste ore, in cui non è arrivata nemmeno una voce ufficiosa che difendesse il mister oranje, scelto proprio dalla dirigenza (soprattutto Thohir) e non adeguatamente protetto.
Ora Frank de Boer sembra camminare lungo un miglio più nerazzurro che verde ma che conduce comunque a una conclusione definitiva. E sarebbe un errore perché è da almeno cinque anni che l’Inter si appoggia –abbastanza male – su ciò che ha sempre fatto (gioco di reazione: ripartenze, agonismo, carattere) e de Boer è stato abbastanza coraggioso da provare a cambiare le cose e ridare finalmente un’identità precisa alla rosa, peraltro in aperta antitesi con la tradizione (che rendeva il tutto ancora più intricato). Perché, da bravo olandese, sa che un gioco organico può sopperire alle mancanze dei singoli mentre non è così affidabile il contrario, invece.
Da almeno un lustro l’Inter non gioca decentemente più di tre partite di fila; a quella attuale sono mancati i risultati ma non le prestazioni e, purtroppo, tutto sembra portare a un imminente cambiamento nell’ottica di raccattare punti qua e là infischiandone del gioco perché un cambio in corsa significherebbe questo. Scegliere Frankie era un segno apparentemente forte della volontà di cambiare il decorso recente nerazzurro, perlomeno a livello di impostazione di gioco e di identità di squadra; un gesto coraggioso a cui non siamo troppo abituati, da queste parti. Più comune vedere questa sorta di “fiducia a tempo” che non significa assolutamente nulla, quando invece il comportamento più logico sarebbe dargli ora fiducia e sostegno incondizionati, per vedere fino in fondo dove possono portare davvero le sue convinzioni, non sacrificarlo in nome del malcontento popolare o di quello dei giocatori che, francamente, è ancora più intollerabile (in quanto decisamente corresponsabili della situazione e, soprattutto, potenzialmente in grado di uscirne puliti se a pagare fosse l’allenatore).
Ora sia quel che sia e decida l’Inter stessa se abortire per l’ennesima volta un’intuizione che avrebbe potuto cambiare significativamente la storia recente della società – quanto meno a livello di impostazione – e costruire qualcosa che non si sciogliesse nel giro di due mesi oppure continuare, almeno per coerenza, con un allenatore che è in carica da soli 66 giorni e che merita di essere giudicato su ben altre basi.