FOCUS – Cambiasso insostituibile: quando e perché?
Nella famosa notte di Madrid, a fine partita e a coronamento di una stagione incommensurabile, aveva indossato una maglia degli anni ’60 con il numero 3 sulle spalle: un gesto che lo ha marchiato e lo marchierà a vita nell’universo nerazzurro e che sicuramente non gli priverà mai di essere ricordato come un simbolo. Esteban Cambiasso incarna e ha incarnato per anni lo spirito interista, e siamo sicuri che ciò non dipenda dal ruolo, quello di mediano, che lo ha reso combattente a priori, o dalla particolare intelligenza tattica che lo contraddistingue. Il motivo per cui il Cuchu è diventato così storicamente importante ripercorre tutta la sua esperienza italiana.
SCARICATO – A 24 anni, nell’estate del 2004, dopo due stagioni di calcio a eccellenti livelli e di vittorie a Madrid, sponda Real, uno dei più promettenti centrocampisti argentini si trova senza un contratto. Si fa avanti l’Inter, società che sta diventando una colonia argentina con i vari Zanetti, Burdisso, Veron e Kily Gonzalez. Probabilmente questo convince il giovane Esteban a sposare la causa nerazzurra e così, a parametro zero, si conclude quello che diventerà un vero affare. Il numero 19 entra da subito in pianta stabile nella formazione titolare e non ne esce più: così, dopo otto anni, siamo ancora qui a parlare di lui. E con 334 presenze condite da 42 gol, Cambiasso non poteva che diventare anche un uomo chiave dello spogliatoio interista. Ce lo conferma il fatto che molti parlano di lui come fosse il principale responsabile della positività o della negatività del gruppo (in riferimento alle cacciate di Benitez e Gasperini per esempio o all’approvazione di mister Leonardo). Noi non sappiamo e non sapremo mai quanto di vero o di presunto tale ci sia nelle dichiarazioni e nei pensieri di certa gente, ma vogliamo provare ad analizzare l’importanza della sua figura nel mondo-Inter e, in relazione ad essa, la valenza di alcune opinioni.
FENOMENO SI, MA QUANDO? – Il Cuchu non è certo paragonabile a giocatori del calibro di Messi, Ronaldo o Rooney, ma se questi grandi campioni si esprimono al massimo delle loro potenzialità è anche per merito di chi, alle loro spalle, li supporta. Ma se è vero che il compito di Cambiasso è sempre stato proprio quello di pilastro del centrocampo, l’ottica dello “stiamo lavorando per voi” nel calcio di oggi lascia il tempo che trova. Ce ne rendiamo conto quando realizziamo che un fenomeno della mediana come l’argentino risente del poco aiuto dei compagni, anche quelli più quotati e più decisivi nelle dinamiche della partita. Spieghiamoci meglio: quando una compagine di grandi giocatori riesce a vincere qualcosa di importante?! Semplice, quando questa compagine diventa gruppo, squadra, e il sacrificio in campo non è più visto come uno sforzo, ma come un dovere, per rispetto nei confronti dell’Altro. Bene, l’Inter degli anni che vanno dal 2004 al 2007 (includiamo, quindi, anche il primo anno post-calciopoli) non era ancora un gruppo forte, e ce lo testimonia il fatto che colui il quale, negli anni a seguire, sarebbe diventato un giocatore indispensabile per i colori nerazzurri era considerato un giocatore normale.
CONSACRAZIONE – Gli anni gloriosi per Cambiasso sono coincisi con quelli di tutta l’Inter, e questo non è assolutamente un caso. Nel momento in cui perfino la società ha optato per il sacrificio (via Ibrahimovic per Eto’o, Milito, Motta e Lucio), quando prima Figo e poi lo stesso Eto’o sono arrivati a scalare a terzini e contemporaneamente Zanetti ha risolto gli annosi problemi relativi all’esterno sinistro di difesa, quando addirittura Pandev è diventato un campione contribuendo e non poco alla conquista del Triplete, allora l’Inter è diventata squadra. E un giocatore oggettivamente intelligente e teoricamente insostituibile quale Cambiasso non ha avuto nessuna difficoltà a tramutare la potenzialità in atto. Tutti ricordano le prestazioni incredibili nei tanti derby vinti in questi anni, il costante raddoppio in marcatura su Messi o su Robben, il pressing asfissiante portato alla mediana del Chelsea prima a Milano e poi a Stamford Bridge: occasioni in cui il numero 19 argentino ha brillato in un cielo di stelle nerazzurre, senza mai voler o poter essere la luna.
E ORA? – Il punto è proprio questo: può un giocatore, nel calcio del 2012, brillare solo di luce propria per un periodo considerevolmente lungo? Difficile, molto difficile, secondo noi. Per questo, in un biennio di alternanza tra crisi e rinascite, un interditore come l’argentino non è riuscito a essere continuo, perché continua non era la resa dei propri compagni e di chi, precedentemente, l’aveva sempre messo in condizioni di esaltarsi. Nell’ultimo anno e mezzo tante volte Cambiasso è stato criticato, definito “un giocatore al tramonto” e ormai costantemente fuori forma, ma non è nostra intenzione difenderlo a spada tratta solo per riconoscenza; vogliamo però affiancare le critiche, spesso anche giuste, a delle osservazioni comunque plausibili, oltre che seriamente ponderate. E non ci sentiamo in imbarazzo nel dire che il suo rendimento a volte deludente è figlio della sempre più frequente incapacità dell’Inter di essere gruppo sul rettangolo di gioco. Siamo sicuri che dopo il primo tempo di Marsiglia molti di quelli che spesso hanno speso parole negative sul centrocampista nerazzurro abbiano cambiato idea, salvo poi ritornare sui loro passi dopo che, nella seconda frazione, la squadra di Ranieri ha accusato un progressivo calo fisico e di disposizione al sacrificio (vedi Sneijder e Zarate quasi bloccati nelle loro posizioni). L’ottima prestazione di Cambiasso nei primi 45′ non è stata una casualità e sarebbe importare leggerla come un indizio per tornare sulla retta via: quella che ha portato lui e altri giocatori a brillare in un cielo fatto solo di stelle e senza luna.