5 Aprile 2013

FOCUS – Come in un film

di Gianluigi Valente

Venti giorni di fuoco, cinque partite decisive, un Palacio in meno e tanto rammarico. E chissà se alle 17.00 del 28 aprile, dopo la partita di Palermo, saremo più delusi, più arrabbiati o più sognatori di oggi. Il futuro dell’Inter passa da questo mese, un mese in cui l’odore dell’aria che si respira si porta dietro una scia di ricordi: aprile è sempre il mese dell’attesa, perché tanto è già alle spalle e perché i traguardi, di qualsiasi livello siano, si avvicinano vertiginosamente; è il mese dell’ultima curva, e tutti conosciamo il turbinio di emozioni che si vivono quando stai per affrontarla; è il brivido di poter contemplare un fallimento o l’apoteosi; è la notte prima degli esami.

DEBITI – Agli esami si è sottoposto già Rodrigo Palacio: lui sta sempre avanti, ci anticipa sempre e sempre ci sorprende; e anche stavolta, nella negatività della cosa, ci ha sorpreso, perché nessuno, dopo il dramma sportivo di Milito, si aspettava di essere ancora in debito con la sorte. E invece, anche se è aprile e il sole comincia a riscaldare con più convinzione i prati e i primi fiori, ha iniziato a cadere una pioggia torrenziale su un piano già abbastanza bagnato. La lesione miotendinea di secondo grado al bicipite femorale sinistro che si è procurato Palacio non toglie a Stramaccioni solo l’unico uomo-gol della rosa a disposizione, ma trascina via con sé un carico di speranze e aspettative già flebili. Senza stare ad elencarne i motivi e senza accusare il destino piuttosto che gli uomini di mercato o l’eccessivo utilizzo dell’argentino da parte del tecnico romano, possiamo solo affermare che ancora una volta c’è stato qualcosa che ha scombussolato dei piani; e quando una progettualità claudicante incontra una voragine il risultato è scontato.

MIRACOLO SI O NO? – Se non fosse che l’Inter ci ha abituati a cose assurde: a perdere 6 punti su 6 con una squadra che probabilmente lotterà fino all’ultima giornata per non retrocedere (in questo i nerazzurri sono recidivi, era già successo col Novara nello scorso campionato) ma anche a rimontare uno 0-3 in Europa o uno 0-2 in Italia in pochi minuti, a non scendere nemmeno in campo in certe occasioni (a Udine e a Firenza) ma anche a violare uno stadio apparentemente inviolabile. Per questo, anche se i risultati che ci aspettiamo appaiono a ragione scontati, mai essere troppo pessimisti quando si tratta di Inter. Anche perché Kovacic dà segnali di crescita, Cassano di professionalità, Guarin, Gargano e perfino Pereira di una grinta ritrovata; è molto più normale pensare che tutto questo possa non bastare, ma se arrivasse uno slancio di orgoglio che travolga anche chi è stato meno utilizzato finora, chi avrebbe voglia di fare ancora il pessimista?

TRISTE – Ancora un po’ troppo distanti per potersi sentire pienamente coinvolti nella corsa alla Champions (7 punti da questo Milan non sono incolmabili ma nemmeno pochi), ci si aspetta che tutta la rabbia dell’ambiente venga scaricata in una partita: la semifinale di ritorno di Coppa Italia contro la Roma. Portare a casa la qualificazione per la finale (ed eventualmente il trofeo) equivarrebbe a mettere un cucchiaino di zucchero in una stagione eccessivamente incoerente: dai proclami di scudetto di ottobre e novembre, fino alla Champions che, a gennaio, sembrava un gioco da ragazzi, siamo ora ad aprile con la speranza di avere tra le mani quella famosa “coppetta” da sempre bistrattata da tutti. Eppure c’è un elemento su cui ci piace porre l’attenzione: in tempi non troppo lontani, quando si era in competizione davvero per obiettivi più consoni al blasone della società, anche la Coppa Italia non era mai stata considerata una ruota di scorta, soprattutto nelle fasi finali; senza contare che è proprio da un successo nella coppa nazionale (2005) che partì il ciclo vincente del biscione. La cosa più triste è che ora si rischia di far diventare una coppa triste la triste àncora di salvezza della stagione.

COME IN UN FILM – “Mi sforzo di sorridere sapendo che la mia ambizione ha superato di gran lunga il mio talento” è la frase conclusiva di un noto film con Johnny Depp; ma, in fondo, che l’Inter non fosse più una corazzata lo si sapeva fin da settembre. Troppi fattori, però, hanno concorso a portare la squadra in una situazione di limbo, nella speranza di arrivare a quella famosa ultima curva nella traiettoria giusta per poter quanto meno  inseguire i battistrada. Non ultimo la sfortuna legata agli infortuni o a qualche squalifica nei momenti decisivi. E allora, con quella strana sensazione adrenalinica, pregustando quel brivido del fallimento o dell’apoteosi tipico dei giorni di aprile, ci piace chiudere riprendendo l’incipit di un altrettanto noto film di Woody Allen: “Chi disse preferisco avere fortuna che talento, percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro, con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince, oppure no e allora si perde“. Nella vita è anche questione di attimi: il nostro attimo durerà poco più di 20 giorni, poi vedremo se la pallina cadrà oltre l’ultima curva o si infrangerà lì.