FOCUS- Fortino Handanovic: quando la classe è di rigore
Focus Handanovic Undici metri, nessun avversario accanto, il silenzio tombale dell’attesa, occhi e riflettori puntati sugli unici tre protagonisti di un momento lungo un’eternità: pallone, calciatore, portiere. Si parla tanto, forse anche troppo del tiratore, immaginato come artefice del destino proprio e dei compagni, di quanto piccola diventi quella porta e quanta responsabilità ci sia in quella conclusione. Ma avete mai pensato a cosa prova chi sta di fronte? L’estremo difensore sta lì, sulla sua linea, dato quasi sempre per spacciato, da solo. Già, solo: quella del portiere però è una solitudine diversa, quasi una solitudine amica, compagna di quel viaggio lungo novanta minuti dove cavarsela da soli è più un imperativo che una facoltà.
Samir Handanovic, assieme alla propria solitudine, ha deciso di essere l’anti-eroe degli undici metri, e ha deciso di farlo con una semplicità quasi devastante. Lo sloveno è l’urlo che non riesce ad uscire, è il sipario che copre il palco, o più semplicemente è una sentenza. Sei rigori consecutivi parati sono un’infinità, qualcosa di quasi impensabile statistiche alla mano, in barba anche ai portieri più gettonati e considerati presenze fisse nel gotha dei numeri uno al mondo. Dopo Maxi Lopez e l’amico Cassano nel finale della scorsa stagione, ad inginocchiarsi al cospetto di Samir nell’annata in corso sono stati in quattro: Larrondo, Cossu, Toni e la stellina ucraina Konoplyanka nell’ultimo giovedì europeo. Spesso dinanzi ad un pararigori si parla di studio dell’avversario e di “lettura del tiro”: in questo caso , conoscendo l’attitudine e la postura sul dischetto dei rigoristi avversari, l’estremo difensore riuscirebbe a dare un senso a determinati movimenti di chi gli sta di fronte, tanto da capire in anticipo dove potrebbe finire la sfera. Ma Samir non è soltanto questo: pare infatti riuscire ad “influenzare” il tiratore, quasi ad obbligarlo a calciare in una determinata maniera ( QUI il rigore parato a Konoplyanka, totalmente ipnotizzato dal primo micromovimento dello sloveno ).
Analizzato l’aspetto “tecnico” passiamo adesso all’aspetto psicologico, arma a doppio taglio nel ruolo più complesso ed affascinante del mondo: il feeling tra Handa e gli undici metri non nasce a Milano, ma ha origini quasi decennali da localizzare in quel di Udine, dove il gigante di Lubiana fà notare la propria incredibile dote già dai primi anni in bianconero fino ad affermarsi come un vero specialista ( QUI qualche rigore parato ai tempi di Udine: spiccano le respinte su Eto’o e Cavani ) già prima del passaggio in nerazzurro coronato dalla definitiva esplosione. Il filotto di conclusioni dal dischetto parate, altro elemento comune con l’esperienza friulana, dimostrano quanto importante possa essere sia per chi calcia che per chi para venire da un calcio di rigore respinto: un po’ come per gli attaccanti, per i quali la fiducia derivante dai gol messi a segno dà la possibilità di realizzarne degli altri, per il portiere venire da una sequenza positiva dagli undici metri è fondamentale anche per “intrimorire” chi si trova sul dischetto, tanto a volte da provare forzatamente a stravolgere il proprio modo di calciare per interrompere con “l’effetto sorpresa” il filotto del dirimpettaio.
Capitolo a parte va aperto per analizzare le recenti prestazioni del numero uno nerazzurro, considerato il responsabile principale di alcuni reti subite nel difficile inizio di stagione dell’Inter: su tutti spicca l’errore quasi scolastico di Firenze sul proprio palo, terza pugnalata di un incontro iniziato male, con un eurogol dalla distanza di Babacar e finito peggio. Lettura troppo semplicistica: troppo facile gettare la croce sull’ultimo uomo di una squadra che ha palesato evidenti lacune difensive trascinate dietro da quasi tre anni e che spesso si è rivelato determinante anche in sfide delicatissime e dall’immenso peso specifico non sono nella corsa all’Europa ( memorabili rimangono le parate su Balotelli nel primo derby da ex dell’attaccante attualmente in forza al Liverpool). D’altronde è un po’ il destino dei numeri uno: al minimo errore, quanto di buono fatto anche nei sessanta o settanta minuti precedenti viene sepolto nell’oblio più assoluto, come se quell’incertezza momentanea divenisse altare sul quale sacrificare un’immensità di elementi improvvisamente divenuti superflui e dovuti in virtù di quanto mostrato in partite precedenti. Non è così e non può esserlo: Handanovic è uno dei migliori portieri del campionato e come tale va trattato: dopo un errore si è alzato e si rialzerà, come un pugile orgoglioso dopo un gancio.
Se il Nino di De Gregori non doveva aver paura di sbagliare un calcio di rigore, noi invitiamo il nostro numero uno a non aver paura di pararne degli altri. A volte si diventa eroi per caso, altre volte lo si diventa con la costanza, altre, ed è il caso di Handanovic, grazie a doti innate come quella dagli undici metri: vola Samir, quella rete immobile dietro di te vale anche più di una rete gonfiata.
di Giuseppe Chiaramonte