FOCUS – Il rumore di Shaqiri
Zero presenze, un gol. Non stiamo citando nè tantomeno dando i numeri nel parlare dei primi giorni nerazzurri di Shaqiri, ma semplicemente prendendo atto che lo svizzero fresco di firma nerazzurra sia riuscito a fare centro su gran parte dell’opinione pubblica senza ancora essere sceso in campo. Xherdan, tutto sorrisi e occhiolini di intesa verso il “fuoco amico”, dal canto suo si è goduto oggi la sua presentazione da interista con l’aria sbarazzina e consapevole di chi è convinto di aver fatto la scelta giusta per la sua carriera ancora agli albori, considerando le 23 primavere che ha sulle spalle. Impassibile e sicuro anche quando qualcuno gli ha suggerito, con la sapienza di chi sa prenderla larghissima, che forse sarebbe stato meglio accasarsi in un’altra squadra italiana con cui (fino alla dogana con la sua Svizzera) avrebbe potuto vincere qualche trofeo in più, replicando che se gli altri sono una possibilità, l’Inter è un desiderio. Un desiderio, non un “vediamo come va”: a prova di fraintendimenti e di possibili lost in translation come quello che mesi fa costò a Vidic un creativo virgolettato a caratteri cubitali riguardo una frase mai pronunciata.
La verità è che l’Inter ha fatto saltare il banco della risonanza mediatica portandosi a casa questo giovanotto, già dato per certo verso campionati più appetibili come la Premier League e squadre dal portafoglio più generoso come il Liverpool. Quell’inattaccabile tesi in voga negli ultimi anni secondo cui un giocatore di questo calibro può solo scegliere una lega più ricca o, se proprio deve venire in Italia, andare nell’unica Società che si può permettere i campioni perché disputa la Champions League con continuità. Poi in una notte di inizio inverno Shaqiri sbarca a Malpensa con una sciarpa nerazzurra al collo e molti intenditori scoprono che nel calciomercato non esiste mai niente di prevedibile, lineare né tantomeno logico e soprattutto scoprono che “cicciobello con gli occhi a mandorla” se vuole può. L’unico risultato è la destabilizzazione di un flusso di informazioni che aveva retto perfettamente per un anno e mezzo, vale a dire quello dell’Inter indebitata che non fa paura neanche al Chievo (con tutto il rispetto per i clivensi) e che è destinata a rimanere una nobile decaduta in mano a gretti banchieri e personaggi di provenienza asiatica (a nessuno pare interessi differenziare Indonesia e Filippine) che pensano di insegnare il calcio agli italiani senza tirar fuori una lira. Ed infatti, con inusitato tempismo e straordinaria incisività, all’indomani dell’ufficializzazione di Shaqiri come nuovo acquisto nerazzurro si affrettano più o meno tutti a fare i conti in tasca all’Inter ed a profetizzare scenari costellati di effetti speciali degni di Armageddon, alla stregua di consumati e scafati analisti di Standard&Poor’s in uno storico venerdì nero dei mercati mondiali e con una sola sentenza comune: o la qualificazione Champions o il crollo del castello di carte con obbligato ridimensionamento di ambizioni e roster. Qualcuno addirittura butta una caramellina per meglio far digerire il boccone amaro, sostenendo che saranno sì guai ma il fallimento dell’Inter non è comunque una possibilità concreta. Qualcun altro, che di lavoro fa l’allenatore, chiede dove sta il fairplay finanziario e in cosa consista realmente, come se l’Inter stesse giocando contro delle regole non scritte che prevedono resti sempre al palo del calciomercato per una questione di etica e coerenza. C’è tanto baccano intorno a Shaqiri, fin troppo per un affare da 15 milioni con le variabili bonus e la formula del pagherò affettuosamente ribattezzata obbligo di riscatto: è una mossa che in pochi si aspettavano e attraverso cui molti temono di dover ritrovare quell’equilibrio che fino a quel momento non prevedeva l’Inter inclusa, almeno sulla carta, nelle future posizioni di vertice. A poco è valso ricordare che metà di questo investimento l’Inter se lo potrebbe ripagare senza muovere un dito, perché qualora il Sunderland si guadagnasse il diritto di restare in Premier League dovrebbe esercitare l’obbligo di riscattare Alvarez a costo già definito (11 milioni di Euro) portando così nel bilancio del club di Thohir una plusvalenza netta di 8,7 milioni di euro. Un baccano che ovviamente non si è mai creato attorno all‘altra sponda di Milano dove, oltre ad un Mexes 32enne tuttora pagato quasi il doppio del giovane Shaqiri, in estate si salutò l’arrivo di Fernando Torres in prestito come un colpo maestro figlio degli immancabili “giorni del condor” di Adriano Galliani, senza che nessuno avesse posto il legittimo dubbio che un salario di 4 milioni all’anno a fronte di un passivo di bilancio che il Sole 24ore ha stimato attorno ai 70 milioni fosse un passo azzardato in mancanza degli introiti dalla Champions League. Non molto diversa la storia nel successivo mercato, quello tuttora in corso, con Cerci ingolosito dall’Inter ma obbligato dall’Atletico Madrid ad andare al Milan in cambio di Torres (sì, il colpo da maestro). Oltre alla eticamente discutibile imposizione del club, l’opinione pubblica ha glissato con un silenzio quasi assordante la formula della transazione, dribblando i possibili interrogativi sul riscatto di Torres da parte del Milan(costato 60 milioni al Chelsea) e tacendo ogni approfondimento sul fatto che il 50% dei diritti economici sui trasferimenti di Cerci siano appannaggio di una terza parte, la Doyen Sports Investment, di cui non si parla e forse non si parlerà mai abbastanza. Tutto quello che abbiamo saputo sull’affare Cerci è stato l’essenziale: il ritorno in Italia di un talento non adeguatamente valorizzato, la bontà del rinforzo tecnico per Inzaghi e l’ennesimo scippo di mercato del Milan all’Inter. Nessuno scenario apocalittico, nessun bivio a fine stagione, nessuna ripercussione sul bilancio: un’operazione perfetta, insomma. Chissà se Xherdan Shaqiri si sentirebbe mai davvero il pomo della discordia che rischia di far crollare il club con cui ha appena firmato un quadriennale e chissà se Kovacic, madrelingua tedesco, gli ha già spiegato come viene nutrito ciò che gira attorno al mondo del pallone nostrano prima che lo scopra da solo. Ci siamo chiesti cosa direbbe José Mourinho di tutto questo trambusto se fosse ancora accomodato sulla nostra panchina salvo poi realizzare che la sua definizione ce l’aveva già regalata e che dobbiamo solo apporre una piccola variante. Il rumore di Shaqiri è già iniziato.