FOCUS – “Livin’on a prayer”: vivere di speranza
Focus Inter
” We’ve got to hold on to what we’ve got ‘Cause it doesn’t make a difference If we make it or not We’ve got each other and that’s a lot For love – we’ll give it a shot” “Dobbiamo aggrapparci a quel che abbiamo, perché non fa differenza se ce la facciamo o no. L’uno può contare sull’altro e questo è molto per amore, avremo unopportunità”
Era il lontano 1986: l’anno de “la mano de Dios“, dell’Argentina Campione del Mondo, dell’esordio in Serie A di Roberto Baggio e dell’allora nuova Inter di Trapattoni. I Bon Jovi cantavano Livin’on a prayer, canzone cult del tempo, simbolo di quegli anni ’80 lontani ormai quasi trent’anni ma ricordati sempre con un particolare affetto sia dai più grandi, che lo hanno potuto vivere come primissimo trampolino di lancio verso il nuovo millennio, che dai più piccoli, figlioletti minori di quell’epoca musicalmente e stilisticamente piena di colori e stravaganti tendenze ricordate da sempre con un sorriso. Livin’on a prayer, vivere di speranza: riavvolgendo con una matita la cassetta(vero strumento cult del tempo) narrante la storia dell’Inter 2014/2015, torna terribilmente d’attualità la traduzione ed il concetto chiave del testo dei Bon Jovi, che in un curioso incrocio tra musica e calcio e vecchio e nuovo, va a baciare un ambiente che di speranza ed entusiasmo ha bisogno di vendere.
Inizio difficile per i nerazzurri, ma risulta davvero inutile parlare dei soliti argomenti trattati: abbiamo visto e rivisto i sette gol buscati tra Cagliari e Fiorentina, abbiamo snocciolato centinaia di volte la nostra rosa alla ricerca di un attaccante di scorta che, con Palacio non in condizione ed Osvaldo K.O., servirebbe come il pane ma che, ahinoi, non c’è e non ci sarà fino a gennaio. Inutile sfogarsi troppo e soltanto su Mazzarri, divenuto ormai punchball da giostre della tifoseria nerazzurra, pronta a richiederne la testa ad ogni ingiustificata sconfitta. Ed è pure inutile parlare di stanchezza fisica, a poco più di un mese dall’inizio delle competizioni che ci accompagneranno fino al mese di giugno, che mai come oggi, pare più lontano dell’esordio di Baggio e de “la mano de Dios” di cui sopra.
Il vero problema di questa Inter, a parere di chi scrive, risiede più nella testa che nelle gambe dei giocatori, negli infortuni o negli schemi di Mazzarri. L’Inter non è la squadra più vincente della nostra Serie A, non è nemmeno quella che storicamente ha meglio figurato in Europa, ma è quella che, nel bene e nel male, dal glorioso Triplete alla seconda metà della classifica, ci ha sempre messo l’anima. Una garra, una determinazione, una voglia di farcela insieme, l’uno per l’altro, capace di andare anche oltre i risultati, che pare non esistere più. Non vogliamo perderci in giudizi affrettati verso un gruppo che deve ancora completare più di trequarti del proprio cammino stagionale, e lungi da noi addossare tutte le responsabilità di ciò su un singolo ma, i famosi “dieci comandamenti” apparsi ad Appiano Gentile e firmati dalla squadra ad inizio stagione sembrano, almeno momentaneamente, essere stati accantonati.
Ed allora? Piangersi addosso, aspettando con ansia l’ennesimo finale di stagione con il più classico :” E’stata un’annata storta”? Neanche per sogno. La determinazione che ha storicamente contraddistinto le annate anche più difficili dei nerazzurri, deve essere trasmessa ad una tifoseria giustamente delusa ma che, come in tutte le situazioni più “particolari”, non può permettersi di mollare. L’appoggio dei tifosi è linfa vitale, è aria pura per chi vive di calcio ventiquattro ore al giorno, per chi scende in campo ogni maledetta domenica, per chi lavora dietro le quinte e anche per chi ha avuto il coraggio di investire importanti somme di denaro per i nostri colori. Noi per loro, noi con loro, loro per noi, loro con noi: deve essere questo il nuovo diktat del mondo Inter, catena capace di unire i nostri colori verso l’unico obiettivo chiamato risalita. Sarà un percorso lungo e travagliato: già dal prossimo incontro post-sosta bisogna invertire il senso di marcia, ma a San Siro arriva il temibile Napoli di Rafa Benitez, curioso antagonista di un mondo che ha in passato conosciuto da protagonista nell’immediato e deludente post-Mourinho. Poi sarà nuovamente Europa League, con l’arrivo del Saint Etienne e i due insidiosi incontri che ci vedranno calcare il Manuzzi di Cesena ed affrontare l’ex nerazzurro e tecnico del momento Sinisa Mihajlovic. Insomma, il tempo per stravolgere il trend e riprendere il timone della nave nerazzurra, attualmente in balìa delle onde, c’è. Occhio a non sprofondare: le delusioni non camminano mai da sole, e generarne di ulteriori è un rischio che il gruppo di Mazzarri non può permettersi di correre.
Ripartire sotto l’aspetto emotivo, tracciare una linea capace di separare queste prime sei giornate da un nuovo inizio. L’inizio di un percorso loro, di un percorso nostro, di un percorso comune perché, tornando ai Bon Jovi e al nostro ormai citatissimo Livin’on a prayer:
“We’re half way there ,livin’ on a prayer, take my hand and we’ll make it, I swear ” ovvero “Siamo a metà strada, vivendo di speranza, prendimi una mano, insieme ce la faremo, lo giuro“.
di Giuseppe Chiaramonte