FOCUS – Preghiera di un pentito a un giovane campione
Non avrei mai pensato di vedermi qui così, dopo tutto quello che ho passato, dopo i sogni che piano piano riuscivano a tramutarsi in realtà. Da bambino ricordo che all’oratorio paragonarsi ai campioni raffigurati sulle figurine ti dava una grande forza, i più fortunati potevano addirittura portare la loro maglia, ci piaceva pensare che il gol realizzato fosse proprio merito di quelle magliette piuttosto che di una nostra capacità tecnica. Poi con la squadra eravamo riusciti a fare un bel gruppo, capace di vincere anche qualche campionato, la voglia di sentire il mio nome pronunciato da uno speaker in uno stadio mi ha portato a fare molti sacrifici. Ricordo quanto si arrabbiò Clara, la mia ragazza di allora, quando le dissi che non sarei andato al diciottesimo della sua migliore amica perchè il giorno dopo avrei avuto una gara fondamentale, dove si vociferava sarebbe venuto l’osservatore di una squadra di serie A. La mia storia con Clara finì due giorni dopo, l’amore per il calcio si impadronì di me nello stesso lasso di tempo.
Accadde tutto abbastanza velocemente, era un periodo dove il calcio richiedeva un ricambio generazionale e io avevo l’età giusta per poter dimostrare il mio talento ad alti livelli. Volevo conquistare il mondo, volevo vedere i ragazzini dell’oratorio indossare la mia maglietta e inneggiare il mio nome dopo un loro gol, volevo sentirmi grande agli occhi degli altri. Questo però mi portò a gestire fama e giovinezza in contemporanea, un contratto da professionista e l’ardore dei miei vent’anni, con la cieca cocciutaggine che ti spinge a lasciare per la strada chi cerca di tenerti coi piedi per terra: “che ne sanno loro di cosa posso fare veramente”, la facilità con cui assecondavo i miei nuovi amici, che mi facevano notare come “sono solo gelosi quelli che ti dicono che non devi cambiare. Tu sei già diverso, sei un campione e loro sono solo dei pezzenti.” Così confusi la gloria e la fama, con il successo sportivo, tanto più salivo di popolarità fuori dal campo, quanto le mie prestazioni sul manto che tanto amavo calavano, fino al famoso colloquio nella stanza del mister: “Adriano, tu sei forte, hai un fisico che ti potrebbe portare ai massimi livelli in Europa”, inizialmente quelle parole mi avevano fatto gonfiare il petto come un piccione, mostrando forse lo stesso aspetto sciocco perchè, come le parole, ricordo anche la sua espressione sconfitta nel vedere che non coglievo la gravità della situazione. “Tu non hai cuore, non hai sacrificio, non vivi la squadra e ora non ti alleni nemmeno più, quasi come se ti sentissi arrivato.” Quelle parole le presi come una pugnalata al cuore, ma ero troppo pieno di me per lasciare spazio ai sensi di colpa e così decisi che l’allenatore era solo un povero fallito e che il mio talento era sprecato al suo cospetto.
Iniziai così la mia carriera da girovago per l’Italia, in campionati sempre più bassi, perchè intanto l’età avanzava e altri giovani si presentavano alla ribalta di palcoscenici ricchi di festoni e lustrini. Il mio ego smussò gli angoli della giovinezza e riuscii a riallacciare anche qualche contatto con i miei vecchi amici, forse gli unici che avessi mai avuto. Giunse poi una stagione inaspettata, il successo era tornato a bussare alla mia porta, ma la mia esperienza mi aveva spinto a guardare dallo spioncino prima di spalancarla al primo che capita. Arrivò marzo, la svolta della stagione e quando il mio telefono squillò, rimasi colpito nel vedere il nome di quel campione affermato, di cui le tifoserie acclamavano il nome a gran voce: “Ciao Adriano! Complimenti per il tuo campionato, siete davvero forti. Ti assicuro che sarebbe un onore per me giocare contro di voi, in serie A, magari già dall’anno prossimo.” Malgrado i miei 28 anni, l’emozione che quelle parole avevano scatenato in me fu tanta che non riuscii a ribattere nient’altro che qualche verso ricco di balbuzie. Con un sorriso fiero, di chi sa di aver colto nel segno, sferrò il colpo decisivo, come tante volte aveva fatto sui campi nella sua carriera, “Sono anche sicuro che sarà così, se ti fidi di me. Domenica la vostra partita sembra essere senza storia. Io ti chiedo di scriverla con me, con un bel finale a sorpresa. Dovresti dare un piccolo dispiacere ai tuoi tifosi, ma ti assicuro che a fine anno gioirete come non avete mai fatto prima.” Forse sapeva che le sue parole mi avevano lasciato quanto meno interdetto, perchè tentò di addolcire la pillola dicendo che “non è una richiesta facile da accettare. Lo so bene, ma si tratta di farlo proprio per i tuoi tifosi, so che è brutto da dire, ma se non salite su questo treno, credo che per voi non ci siano molte speranze di coronare il sogno della promozione. Si tratta di un piccolo prezzo da pagare per sentirvi grandi. Il vostro nome sarà solo sui titoli delle prime pagine come vincitori! Non ci sono rischi!” Ci riuscì! La pillola divenne dolcissima, le altre parole non le sentii neppure, la mia mente correva agli anni all’oratorio, ma questa volta i bambini nel campetto avevano la mia maglietta, insieme a quella dei miei compagni.
Andò così, salimmo tutti quanti su quel treno, anche quelli inizialmente meno convinti, quando capirono che non solo la nostra partita sarebbe stata “con finale a sorpresa.” Il campionato finì e così come quel campione indovinava sempre le traiettorie delle sue punizioni, indovinò anche l’esito del campionato: la serie A non era più un sogno ma la nostra realtà.
La gioia durò però solo qualche settimana, una mattina, camminando a piedi per la città che era stata tapezzata con i volti dei suoi eroi, tra cui anche il mio, un ragazzino, con la mia maglia sulle spalle, urlò il mio nome, implorando di fermarmi per autografargli una foto. “Grazie Adriano! Sei il mio eroe!” Le parole che per tutta la vita avevo attese mi trafissero, facendomi ancora più male di quelle dette quasi dieci anni prima dal mio allenatore. Avevo conquistato la gloria e la luce mi colpiva in pieno, ma mi sentivo come se ne fossi indegno, invece che illuminarmi, mi bruciava dall’interno.
Inutile fu il tentativo degli altri di fermarmi, mi sarei costituito, avrei comunque cercato di non coinvolgere nessun altro, l’ho fatto per la squadra, l’atto più vile della mia vita, è stato forse l’unico atto altruistico di tutta la mia carriera, nella quale ora non vedevo più un futuro. Ora eccomi qui, nello stanzino del commissariato, con la televisione in un angolo che trasmette una partita, dove emergono le immagini delle tue giocate. Quanto assomigli al giovane campione che ero, quanto vorrei che queste parole ti raggiungessero giovane amico mio. Ti prego, campione del futuro, non smettere mai di voler correre sul quel campo, suda i tuoi successi e prega che arrivi la vittoria per il gol che hai meritatamente ralizzato, piuttosto che per un difensore comprato per lasciarti passare. Gioisci per le vittorie insieme alla tua squadra e vivi le sconfitte per rimediare alle tue imperfezioni. Utilizza la tua ambizione per farti aiutare a crescere, ricorda che la maglia che porti è uguale a quella dei tuoi compagni e se fossi solo in campo, verresti sovrastato dagli avversari. Infine giovane promessa, guardami negli occhi, osserva il fallimento di chi ha perso tutto nella speranza di avere qualcosa. Vivi la tua classe e condividila con chi ti vuole bene e se le mie parole potranno servire a farti migliore di ciò che già sei, allora avrò ottenuto la vittoria più bella della mia carriera. Ho sposato il calcio e l’ho tradito con il desiderio di ricchezza, ma ho ancora una voce per fare in modo che nessuno commetta i miei errori.