FOCUS – Quella chimera chiamata “progetto”
L’esperienza comune insegna che spesso basta poco per stravolgere piani e certezze, che nella vita le variabili più disparate possono scardinare anche le più radicate sicurezze. Figurarsi allora quanto di stabile e cristallizzato possa rinvenirsi in un mondo quale quello del calcio, in cui proprio lo strumento sferico del gioco pare rappresentarne la metafora più incisiva, con la sua innata frenesia e imprevedibilità di movimenti e traiettorie.
A cosa serve allora parlare di ?progetto a lungo termine? nel mondo del pallone? Forse è in parte colpa delle storie come quella di quell’anziano signore, andato da poco in pensione dopo una fulgida carriera, tale Sir Alex Ferguson, uno che ha legato la sua vita a una squadra, a un marchio, a un popolo rosso. La sua capacità, o fortuna, o un po’ entrambe, di restare a galla anche nei momenti bui ha esportato da Manchester a tutto il mondo calcistico l’idea che un allenatore può legarsi quasi a vita a un club, che i ?cicli? possono anche durare vent?anni e più, che un tecnico può sentirsi libero di puntare con decisione su giovani promesse per vederle poi indossare la fascia di capitano mentre alzano al cielo trofei su trofei.
E così, ogni tifoso sul globo terracqueo ad ogni nuovo ingaggio d’allenatore spera in fondo al cuore di rivivere il ?sogno Ferguson? sulla propria pelle, coi colori del proprio club d?appartenenza. Pregustando una serie più che ventennale di successi, dimenticando, forse, che lo stesso Sir ha impiegato tre anni e mezzo coi Red Devils prima di vincere qualcosa.
I tifosi dell’Inter, che di cambi di allenatore ne sanno qualcosa, sono stati nell’ultimo periodo particolarmente attenti alla prospettiva di veder decollare un progetto non proprio alla Ferguson maniera, ma qualcosa di pur lontanamente simile. Con un po’ di puerile ingenuità si ci era legati all’idea del ?progetto Stramaccioni?, quello basato sui giovani di belle speranze, quello in cui non c’erano più soldi da spendere ma tanti campioncini da creare in casa, quello in cui bisognava aver pazienza, quello che in fondo ma chi c’ha mai creduto?
In Italia, all’Inter, il tempo pare scorrere più velocemente che altrove, e di pazienza ce n?è sempre poca da spendere. Altro che tre anni e mezzo a secco, bastano a volte pochi mesi, se non poche settimane per smantellare un progetto (se mai un progetto vero e proprio sia stato predisposto) per ripartire da zero con un?avventura tutta da riscrivere. In questo senso le parole di Walter Mazzarri di pochi giorni fa in occasione della sua presentazione sono state una sorta di ritorno alla realtà per il popolo nerazzurro, il mantra ripetuto da ogni allenatore che si rispetti, e cioè che il calcio, il nostro calcio si vive di partita in partita, che nessuno è indispensabile, che in fin dei conti i progetti si valutano come tali solo a posteriori.
L’inesperto Stramaccioni probabilmente aveva per davvero creduto di poter essere al centro di un?idea di Inter a lungo termine, mentre il navigato Mazzarri sa già che prima o poi, dopo qualche colpo a vuoto, sarà esonerato o sarà lui stesso ad andar via. Inutile allora lamentarsi del fatto che il nuovo tecnico dell’Inter non ha intenzione di puntare forte sui giovani e aspettare che migliorino, che crescano. Nel calcio, all’Inter, nessuno (tifosi in primis) ha voglia d?aspettare: i calciatori più giovani devono già essere ?grandi? se e quando chiamati in causa, gli allenatori padroni della situazione fin dal primo momento e i progetti a lungo termine rappresentano solo un?idea astratta, una chimera cha appartiene ad altri luoghi, ad altre mentalità sportive e non. Il nostro calcio, come mister Mazzarri ha voluto non casualmente sottolineare, vive di momenti, di risultati immediati. Macina insaziabilmente vittorie e sconfitte, giocatori e allenatori, delusioni e speranze. Altro che pazienza. Altro che progetti.