FOCUS – Rimpianti “a prescindere”
C’è una diffusa e solo in parte giustificata forma di isteria di massa nel mondo del tifo italiano, una forma di isteria che ruota tutta intorno al concetto di ?calciatore giovane?, concetto tanto generico quanto ritenuto fondamentale soprattutto, se non soltanto, durante le sessioni di mercato.
Sarà stato un po’ per colpa del mito tutto spagnolo, rectius catalano, della cantera, ma da qualche anno a questa parte nell’Italia pallonara un?unica sola certezza sorregge le tesi di addetti ai lavori più o meno esperti, e cioè che i club calcistici nostrani debbano puntare sempre e comunque sui giovani, meglio ancora se cresciuti nel vivaio di casa. Una tesi, questa, che ha certamente i suoi punti di forza, ma che come tutte le tesi non scientificamente dimostrate, può essere almeno in parte confutata.
Essere un giocatore giovane non significa infatti, automaticamente, essere un buon giocatore. Questo vale sul campetto da calcio a 5 dietro casa quanto negli stadi più prestigiosi della Serie A. La bravura di un calciatore, infatti, di solito non tende a diminuire con l’aumentare dell’età anagrafica, semmai, spesso, è vero il contrario. Da questi scontati punti di partenza, che il comune buon senso porterebbe a ritenere validi nella generalità dei casi, si possono astrarre altri importanti concetti: 1) La qualità di un giocatore si determina caso per caso, a prescindere dai parametri relativi all’età. 2) Un calciatore che si è messo in evidenza nella Primavera o in qualche serie minore, automaticamente non è un campione affermato in grado di garantire prestazioni importanti nei massimi campionati. 3) Una squadra fatta prevalentemente, se non esclusivamente di giovani, con ogni probabilità non riuscirà ad affermarsi ad alti livelli. L’esperienza e la qualità che solo con anni di lavoro si acquisiscono sono imprescindibili per raggiungere traguardi realmente importanti.
Eppure, restringendo il discorso in casa Inter, non si fa che notare da qualche settimana a questa parte, un profondo e diffuso malcontento per le cessioni da parte della società messe in atto o semplicemente in programma, di giovani presunti campioni nerazzurri. Alla partenza di Donati verso la Germania, ad esempio, c’è mancato poco che tra il popolo di tifosi nerazzurri scoppiasse una vera rivolta armata contro la dirigenza, rea di mandar via gli elementi più promettenti (!) per puntare invece su gente che ha la sola colpa di non rientrare nel concetto di ?giovane calciatore?. Tutto questo perché mandar via giocatori in erba e spesso solo mediocri in funzione di competizioni difficilissime come la Serie A italiana, vuol dire non puntare su un ?progetto Inter?, magari di ispirazione barcelloniana; salvo poi alla prima sconfitta accusare la stessa dirigenza, di non puntare e investire moneta sonante sui famosi ?top players?, vale a dire quei giocatori già affermati (e pure di una certa età) che possono realmente far fare il salto di qualità alla squadra, preferendo soluzioni ?low cost? come quella dei ragazzini prelevati dalla Primavera.
Già, perché se da un lato in molti tra i tifosi dell’Inter non sopportano l’idea di vedere andar via qualche ragazzo di belle speranze ancor tutte da dimostrare, dall’altro vorrebbero anche una squadra puntellata di campioni di livello internazionale con tanto di marchio di qualità. Posizioni difficilmente conciliabili già da un punto di vista meramente aritmetico, almeno finché a calcio si giocherà a 11 e non a 54. Vallo poi a spiegare che con gli onestissimi Donati, Caldirola, Biraghi, Benassi e compagnia bella si rischia con ogni probabilità di lottare per almeno due o tre stagioni per il quattordicesimo posto in campionato, e che non tutti tra gli strenui sostenitori di cantere varie ed eventuali sarebbero disposti ad accettare un?Inter da salvezza risicata in attesa che gli acclamati giovani crescano e migliorino (forse).
D?altra parte basterebbe analizzare l’Inter dell’osannato Mourinho per capire come è fatta una squadra vincente: di giovani in senso stretto nemmeno l’ombra, se non quel Balotelli che ne ha fatte più di cattive che di buone. Nell’undici titolare dell’Inter 2009/2010 era invece presente un giusto mix di giocatori di grande esperienza e gente meno anziana ma comunque con decine e decine di partite con la ?P? maiuscola alle spalle.
In quel caso non si ricordano a memoria d?uomo lamentele varie sull’assenza di giovani in rosa e, tempo dopo, i tifosi nerazzurri i capelli se li sono strappati per le cessioni dei vari Julio Cesar, Eto?o, Maicon, Motta più che per quelle di Khrin, Arnautovic e Stevanovic. Perché dunque con la nascente Inter di Mazzarri le cose dovrebbero essere diverse? Perché l’allenatore toscano dovrebbe in nome di un fantomatico progetto avere a disposizione una massa di giovani di belle speranze ma di poche certezze invece di una rosa competitiva e già pronta dal primo minuto a dare l’assalto agli obiettivi più importanti della stagione?
La realtà è che quando le cose girano male, nel calcio come in qualsiasi altro ambito, in ogni graffio si è portati a vedere una voragine e ogni appiglio, anche quello più assurdo, pare essere a turno la soluzione definitiva a geniale ad ogni male. Quella di voler puntare per forza sui ?giovani? non è invece una soluzione né definitiva, né, men che meno, geniale, ma solo parziale e, nella sua parzialità, tutta da verificare. L’Inter è una squadra che ogni anno parte per primeggiare, e i suoi tifosi lo sanno bene. Quegli stessi tifosi che in questo momento rimpiangono paradossalmente a priori calciatori che nulla hanno dimostrato, ma che saranno pronti altrettanto paradossalmente ad essere dimenticati per sempre al primo (si spera) trofeo alzato al cielo.