Focus – Samir Handanovic: in medio stat virtus
Il numero uno nerazzurro Samir Handanovic continua a dividere la tifoseria: proviamo a comprendere insieme cosa c'è dietro tali critiche e a capire qual è il vero valore dello slovenoPer valutare il rendimento di Samir Handanovic o di qualunque altro estremo difensore nell’arco di più stagioni, occorre partire da una doverosa premessa di carattere generale: giudicare l’apporto offerto da un portiere è decisamente più complesso rispetto a quello dei colleghi di movimento. Tale analisi, infatti, non può prescindere da variabili ben più astruse, spesso coincidenti con il rendimento complessivo dell’intera squadra o, più semplicemente, da quelle che sono le caratteristiche dell’estremo difensore, più o meno coinvolto in determinati fondamentali piuttosto che in altri. Decontestualizzare un portiere, che sia Handanovic, Julio Cesar o chi per loro, porterà infatti ad una valutazione complessiva falsata, orfana di un fondamentale principio che a volte viene colpevolmente trascurato: il portiere fa parte di una squadra e come tale dipende dal rendimento di quest’ultima.
Provando ad essere concreti ed a trasformare in numeri tale assioma, scomodiamo il rendimento di Buffon, che piaccia o no, il più grande portiere della storia italiana, in due stagioni differenti per dimensione, compagni ed obiettivi. L’indimenticabile stagione 2009/2010 per i colori nerazzurri, è stata probabilmente la peggiore per rapporto presenze/reti subite di un Buffon allora trentunenne, contraddistinta anche da prestazioni individuali al di sotto del solito eccezionale rendimento del portiere Campione del Mondo. In 27 presenze complessive, infatti, Buffon subiva ben 33 gol (questa la formazione tipo dei bianconeri a metà della menzionata stagione: Buffon; Cannavaro, Legrottaglie, Martín Cáceres, Molinaro; Diego, Marchisio, Poulsen, Tiago; Amauri, Trézéguet). Un Buffon trentaseienne, nella stagione 15/16, subiva invece (in 34 presenze stagionali) soltanto 17 reti, quasi la metà di quelle subite 5 anni prima con sette partite in più e giocava, da protagonista, nella squadra poi campione d’Italia (questa, invece, la formazione tipo di quella stagione: Buffon; Barzagli, Bonucci, Chiellini; Lichtsteiner, Khedira, Pogba, Marchisio, Evra; Mandzukic, Dybala). Questo per provare a dimostrare che il rendimento complessivo dell’intera squadra va sempre ad influire su quello del portiere: una squadra che concede parecchie occasioni agli avversari, espone il proprio portiere ad una maggiore probabilità d’errore, oltre che ad un ovvio maggior e fisiologico numero di reti subite. Sperando di non avervi annoiato con il “paragone” in questione, proviamo adesso a contestualizzare Handanovic in più rose e momenti nerazzurri, necessari a capire quanto il suo rendimento abbia anche solo in parte subito l’influenza di un’Inter che di certo, negli ultimi sette anni non ha particolarmente brillato (per usare un eufemismo).
Senza soffermarci nello specifico sulle rose nerazzurre degli ultimi sette anni e sui relativi reparti difensivi e sugli undici titolari delle ultime 200 gare circa nerazzurre, sappiamo tutti bene che tale periodo non coincide certamente con un’Inter granitica o quantomeno capace di offrire serate di particolare quiete al portiere sloveno. Si potrebbe obiettare, di contro, che lo stesso ha fatto parte di un’Inter relativamente capace di imporsi sul mercato, rappresentando una scelta in linea con il mercato e le ambizioni del tempo e probabilmente distante da quella che era l’élite mondiale del ruolo: tutto vero, ma l’obiettivo di tale approfondimento non è né quello di difendere Handanovic né di attaccarlo, ma, più semplicemente di valutarne il tanto discusso percorso, alla luce anche dell’attuale dimensione nerazzurra. In conclusione, che dir si voglia, il rendimento spesso altalenante di Handanovic è frutto anche di un’Inter di livello sicuramente inferiore agli standard di rendimento e agli obiettivi a cui noi tutti siamo sempre stati abituati e questo, anche se non idoneo a garantire una giustificazione, è comunque un dato da tenere in considerazione.
Stasera mi butto
Le più grandi critiche mosse ad Handanovic durante l’arco dell’esperienza nerazzurra e in particolar modo nell’ultimo triennio, riguarda la tendenza del portiere sloveno a non tuffarsi su alcuni tiri poi terminati in rete. Se da una parte l’effetto “statua di sale” mal si concilia con l’idea base di portiere che meglio si sposa con tuffi a volte anche coreografici e straordinariamente d’impatto, da un’altra merita un opportuno tentativo di valutazione capace di andare oltre il mero concetto di staticità. Handanovic, così come tanti altri portieri della sua generazione e con la sua medesima formazione (sì, così come i calciatori portoghesi e brasiliani tendono a dribblare tanto e gli italiani ad essere più pragmatici perché appartenenti a scuole differenti, lo stesso succede per i portieri, per i quali esiste un universo parallelo relativo allo sviluppo ed alla formazione degli stessi), oltre che ad una struttura fisica di particolare rilevanza con i suoi 193 cm e le sue lunghe leve, è un portiere dal baricentro molto alto che sfrutta al massimo la sua capacità di allungarsi sacrificando in parte l’esplosività appartenente a portieri più bassi ma più esplosivi, capaci di coprire maggior parte dello specchio grazie alla spinta sulle gambe piuttosto che sull’estensione del proprio corpo.
Per comodità, proviamo ad isolare le due categorie offrendo termini di paragone pratici, facendo rientrare nel primo gruppo portieri come van Der Sar e Cech, mentre nel secondo due noti “gatti” come Frey e Julio Cesar, accomunati dal medesimo passato nerazzurro. L’apoteosi della sindrome da “Stasera mi butto” è sicuramente la fortunata gara dell’Olimpico dello scorso maggio, in grado di garantire all’Inter il ritorno in Champions League dopo anni di sofferenza e delusione. Eppure non era iniziata bene: l’immediato svantaggio nerazzurro a causa di una conclusione di Marusic deviata da Perisic, coincide con la prima statuina di Handanovic, immobile in occasione della sfortunata carambola (QUI al minuto 1:01) terminata in rete. Anche in occasione della rete di Felipe Anderson, sfuggito in velocità alla difesa nerazzurra, Handanovic resta immobile, accompagnando con lo sguardo la palla incrociata dal brasiliano attualmente in forza al West Ham (QUI al minuto 2:00). Per provare intanto a ritrovare altri esempi di “statuine” ragionando sul perché di tale immobilità, scomodiamo, rifacendoci alle due categorie precedenti, il buon Cech, portiere di indiscusso valore considerato tra i migliori portieri dell’ultimo ventennio. Volendo riagganciarci ad un dolce momento della stagione 2009/2010, inquadriamo Cech in occasione di un Inter-Chelsea valido per gli ottavi finali di Champions League (ricordate chi vinse alla fine?): il gol del 2-1 di Cambiasso, arrivato grazia ad una conclusione del Cuchu dalla distanza, viene accompagnato soltanto dallo sguardo del portiere ex Chelsea, che aveva rirpeso poco prima posizione dopo una conclusione respinta dalla difesa (QUI al minuto 0:09). Lo stesso effetto statua viene riproposto in occasione di un Chelsea-Napoli 4-1, dove il forte portiere ceco resta assolutamente immobile sulla conclusione dal limite dell’area di Inler, che centra l’angolino con un un violentissimo destro (QUI al minuto 4:37).
Tornando indietro ai primissimi anni 2000, vediamo come anche van der Sar ha più volte pagato il prezzo della bella statuina: in occasione della famosa e discussa gara Perugia-Juventus che consegnò lo scudetto alla Lazio, notiamo come anche il portierone olandese sembra paralizzato dalla conclusione del difensore dei padroni di casa Calori (QUI il video), accompagnando quasi da spettatore la palla che si adagiava in rete. Da tre episodi relativi a tre portieri fisicamente simili e di formazione europea, notiamo come tutti abbiano di fatto rinunciato all’intervento nelle circostanze in esame: pura coincidenza? Probabilmente sì, oppure non più di tanto. La capacità di reazione richiesta agli estremi difensori dalle lunghe leve transita infatti dalla necessità di effettuare delle scelte a monte che invece non sono richieste con le stesse tempistiche a portieri più esplosivi: riducendo il tempo di reazione colmandolo in esplosività, questi ultimi avranno infatti maggior possibilità di “rischiare” più parate in tuffo, mentre, il portiere dalle lunghe leve, difficilmente arriverà su un determinato segmento di conclusioni perché materialmente “impossibilitato” dalla propria struttura, che richiederà molto più tempo per effettuare quel preciso gesto. Quindi, banalmente, lascerà andare la palla perché non ci sarebbe mai arrivato o avrebbe perfezionato il proprio gesto ad esultanza già terminata. Ciò resta comunque altamente opinabile e non vuole ovviamente dire che ogni palla “battezzata” da Handanovic fosse imparabile o che i colleghi Cech e van der Sar non abbiano reagito diversamente in altre occasioni, anzi. L’estremo difensore, sotto l’aspetto della reattività tra i pali, riesce comunque a ben figurare, prediligendo comunque l’intervento “levagamba” sulle conclusioni ravvicinate piuttosto che su quelle dalla distanza che più volte sono risultati letali. Non un limite quindi, ma una lettura, a volte fatale, altre meno.
Esco o non esco?
Il secondo fardello portato da Handanovic, riguarda il fondamentale dell’uscita alta, alla quale, obiettivamente ed ove possibile, lo sloveno sembra riunciare fin troppo spesso. Anche qui, per quanto la critica risulti fondata su alcuni chiarissimi episodi, va comunque fatta una cernita, in quanto l’assioma traversone nella disponibilità del portiere=uscita meccanica non sempre corrisponde al vero. Due esempi pratici (e comunque opinabilissimi) relativi alla scorsa stagione, relativi a Cagliari-Inter (QUI al minuto 1:03) e in Sassuolo-Inter (QUI al minuto 1:24), ci permettono di capire quanto due episodi simili, impongano una valutazione diversa da parte dell’estremo difensore: nella trasferta di Cagliari, Handanovic preferisce investire sulla sua capacità di utilizzare il proprio corpo in fase di parata, sfidando frontalmente Pavoletti piuttosto che tentare un’uscita complessa e che lo avrebbe comunque esposto al rischio di non intercettare la sfera e rinunciare del tutto all’intervento successivo. Nel secondo episodio, vediamo come invece la scelta di non uscire a contendere la sfera proveniente dalla sua sinistra risulti invece penalizzante, impedendogli di fatto l’intervento successivo e permettendo a Falcinelli un gol abbastanza semplice: ciò per dimostrare che il tempo di scelta di un portiere è davvero ridotto e che a volte bisogna letteralmente investire su un gesto piuttosto che su un altro senza alcun margine di errore neppure minimo e che, a volte, la stessa scelta possa risultare decisiva in un senso come in un altro. Discorso a parte meritano l’ultimo incontro tra Inter e Juventus, dove, soprattutto in occasione della terza rete bianconera, emerge l’eccessivo timore nell’uscita dello sloveno, che restando ancorato alla linea di porta permette ad un in realtà poco marcato Higuain, in quello che diverrà il suo futuro stadio, il più facile degli anticipi e dei gol. Qui, rispetto ai due precedenti episodi che richiedevano una valutazione più complessa della traiettoria, la scelta, risulta probabilmente errata perché la mancata uscita, più che frutto di una valutazione, pare una scelta in quel caso infelice seppur compiuta in una frazione di tempo ridotta.
Il ruolo del portiere, in fondo, è da sempre contraddistinto dalla necessità di prendere la scelta più giusta nel minor tempo possibile, al netto delle conseguenze che quella meno corretta o, comunque, seguita dal gesto scelto eseguito in maniera imperfetta, comportano. Il gesto dell’uscita alta, inoltre, può essere definito, soprattutto per le atroci conseguenze che il rischio di una sciagurata sconfitta comporta, come tra i più complessi dell’intero ruolo del portiere. Ad incappare nello sciagurato ostacolo sono stati portieri di caratura mondiale e, recentemente, per menzionare un esempio tra i tanti, anche un veterano come Reina ha pagato, durante la scorsa stagione e in una gara risultata poi decisiva, il maggiore tra i pegni in occasione di un errore di calcolo della traiettoria (QUI al minuto 0:53).
In medio stat virtus
Dopo aver provato a comprendere le ragioni che stanno dietro le principali critiche rivolte ad Handanovic da parte di una frazione del tifo nerazzurro, è giunto il momento di tentare di inquadrare Handanovic all’interno di una dimensione virtuale da adeguare ai propri legittimi standard di gradimento. Lo sloveno, probabilmente, non è né il miglior interprete al mondo nel suo ruolo e neppure il più adatto alle esigenze del suo attuale allenatore (nonostante stia egregiamente tentando di sviluppare il fondamentale podalico senza mai rinunciare alla giocata, pur non essendo il suo cavallo di battaglia). Altrettanto vero è che però, lo stesso, è attualmente tra i primi tre interpreti del ruolo dell’intero campionato, del tutto in linea con le attuali esigenze ed obiettivi nerazzurre. Il confronto con la tanto desiderata Champions League ci ha permesso di poter definire Handanovic un portiere maturo, probabilmente non perfetto ma adeguato al contesto rappresentato: le arcinote vicessitudini contabili a cui ha dovuto far fronte la società nerazzurra, impongono un quesito al quale non pare particolarmente complesso dare risposta: siamo sicuri che l’Inter 2012-2018 avrebbe potuto ambire ad un portiere migliore di Handanovic?
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