FOCUS – Tre punti, cento emozioni
di Michele Femminella.
L’Inter di Mazzarri torna a girare a pieno regime, trova le seconda vittoria consecutiva in campionato, quinto risultato utile di fila e si tiene così stretto il quarto posto, avvicinandosi inevitabilmente ad almeno una tra Juventus e Napoli in attesa del big match domenicale. L’Inter di Mazzarri, pare aver assorbito bene anche il trauma dell’assenza in difesa del leader Campagnaro, riuscendo a non subire gol, dopo l’Udinese, anche contro il Livorno: una notizia, quest?ultima, che non può che far sorridere chi ha già dalla sua il miglior attacco della Serie A.
Eppure in una serata indubbiamente positiva per i colori nerazzurri da un punto di vista prettamente calcistico, al di là dei tre punti conquistati, prevale l’aspetto emozionale, la cui preponderanza rispetto alle semplici statistiche di una partita o dei numeri di una classifica, ha storicamente fatto la differenza tra chi tifa Inter e il ?resto del mondo?. Al di là dei tre punti, nella serata di metà novembre milanese, hanno prevalso i sentimenti contrapposti di un grande addio e di un sospirato ritorno.
Ad andar via, a separarsi anche se solo nominalmente dall’Inter, è stato addirittura ?IL’ Presidente, quel Massimo Moratti che dopo anni di guida del club nerazzurro, a dispetto del suo amore sconfinato per i colori nerazzurri di Milano, ha dovuto cedere alle impellenze dei freddi numeri dei bilanci societari, del rapporto entrate-uscite, degli aumenti di capitale e via discorrendo. La cordata di indonesiani guidata da Thohir ha comprato l’anima economica del club, si spera per rimetterla in sesto, per ridarle nuovo fulgore. Moratti si porta via, invece, l’anima passionale di una squadra per forza di cose diversa da tutte le altre.
Lascia, Moratti, e lo fa dopo anni maledettamente bui seguiti da quelli di successi esagerati, ponendo il punto all’ultima riga di una storia destinata a entrare nella leggenda. È stato lui il presidente più vincente della storia dell’Inter, probabilmente il più amato.
E certo è che per i tifosi più suscettibili quella di ieri sera non deve essere stata una serata semplice da gestire. Certamente anche le ultime resistenze alla commozione più totale devono aver ceduto fragorosamente quando il San Siro ha riaccolto il suo Capitano. Entra Javier Zanetti al posto di Taider, presente, passato e futuro sono tutti lì, in quell’avvicendamento. Entra Javier Zanetti e il San Siro gli regala un boato che solo uno come l’argentino può tirar fuori dal petto, quasi dall’anima dei tifosi lì presenti.
Zanetti non è uno che molla, nemmeno a quarant?anni, nemmeno dopo un infortunio che mette al tappeto gente molto più giovane. Mai lui non è né giovane, né vecchio, lui è Zanetti, lui è l’Inter. Non poteva terminare la sua carriera tra smorfie di dolore, uscendo in barella dal campo. E così rieccolo, col suo solito sguardo serio e concentrato, con la sua presenza sul campo che da sola basta a infondere sicurezza e autorevolezza. Eccolo di nuovo correre come nulla fosse successo, come se davvero il tempo fosse uno scherzo, quel Capitano da una sola espulsione in carriera, dalle mille battaglie sulle spalle, dagli innumerevoli trofei alzati al cielo.
Ritorna, Zanetti, e ogni tifoso spera di ritrovarlo d?ora in avanti sempre lì, sul terreno di gioco, eppure ogni tifoso sa in fondo all’anima che arriverà anche per il Capitano senza tempo il momento di mettere un punto alla sua storia di corse a perdifiato e grinta sconfinata. Intanto il Pupi si è già assicurato il suo lieto fine. È stato lui il capitano più vincente della storia dell’Inter, probabilmente il più amato. E tanto basta.