Gianfelice Facchetti: “L’Inter adesso è una squadra. Suning? Poche parole e molti fatti”
Queste le parole del figlio di Giacinto in merito al momento dei nerazzurriTorna a parlare di Inter Gianfelice Facchetti e nelle sue parole, come sempre, si riconoscono l’equilibrio e la saggezza insegnategli da papà Giacinto. Ecco le sue parole raccolte dai microfoni di FcInterNews.it:
Facchetti, dopo un inizio stentato, l’approdo di Pioli sulla panchina nerazzurra ha come d’incanto raddrizzato la stagione.
“Questo gruppo è diventato una squadra. Ha cominciato a raccogliere risultati e soprattutto a esprimere le potenzialità che ha. Abbiamo visto giocatori recuperati, migliorati, cresciuti. Una coesione che non c’era in precedenza, un ottimo lavoro di Pioli. Tanti complimenti a lui”.
Anche perché arrivava dopo le macerie della gestione De Boer.
“Col senno di poi, quel cambio arrivato a ridosso dell’inizio del campionato, quindi quasi in corsa, abbiamo visto non poteva funzionare. Tutto diventava molto complesso. Ci sarebbe voluto più tempo per De Boer per arrivare a guidare una squadra come l’Inter: si è trovato davanti una situazione complicata per tanti punti di vista, a partire dal problema della lingua”.
Suning ha preso di petto la situazione e preso Pioli. Che idea si è fatto dei proprietari cinesi?
“La cosa che si sta apprezzando di più è che ci siano state poche parole e molti fatti da parte loro. Tutto si è tramutato in cose tangibili, come l’acquisto di Gagliardini. Lui è uno dei nostri talenti migliori e l’operazione è stata fatta in tempo reale. Un modo di fare molto più milanese rispetto a tanti italiani. Una gestione nostrana non è garanzia assoluta di serietà, basti vedere quante società italiane sono saltate per aria negli ultimi anni. Suning si sta rivelando affidabile e con le idee chiare”.
Non è che questa solidità recuperata dai nerazzurri, anche e soprattutto a livello societario, stia spaventando chi ha comandato in Italia negli ultimi anni?
“Sicuramente è possibile che una proprietà solida e una squadra che comincia a trovare continuità di risultati, conquistandosi il rispetto sul campo, possa creare qualche frizione visto che poi a vincere è solo uno. Facile stare simpatici perdendo. Ora c’è una proprietà ambiziosa e lo sta dimostrando con i fatti”.
Tornando un attimo ai veleni su Rizzoli. Al di là degli episodi da moviola, come giudica l’uscita mediatica dell’arbitro?
“Premetto che non intendo aggiungere nulla né alla partita né agli episodi da moviola. Ma c’è un fatto evidente: la categoria degli arbitri, nel momento in cui si pongono delle questioni, mostra una permalosità ingiustificata. Un fatto che fa riflettere, soprattutto se si vuol far diventare il calcio un prodotto con una certa immagine. E’ bene ci sia una chiarezza in tutti i ruoli. Questi arbitri o parlano o non parlano. O lo fanno ufficialmente oppure evitino di rilasciare interviste sul marciapiede. Trovo poco seria questa ambiguità: se uno non è tenuto a dare spiegazioni, allora non lo faccia in assoluto. Altrimenti, a maggior ragione, si è giustificati a cercare ogni mezzo possibile per ottenere delle risposte”.
Ha stupito – e di certo non in positivo – soprattutto l’illazione di Rizzoli sul fatto che l’Inter avesse alzato una sorta di polverone mediatico sui casi da moviola dello Juventus Stadium per ottenere sconti alle squalifiche di Perisic e Icardi.
“Tutti i ricorsi sono fatti per avere degli sconti, c’è poco da scandalizzarsi. Non è che sono state mostrate immagini inventate. Ricordiamoci invece che, non troppi anni fa, le moviole erano uno strumento modificato con la collaborazione di chi supinamente faceva vedere cose che non c’erano per distorcere la realtà. Lo sappiamo bene. E allora dico che bisognerebbe avere il coraggio di parlare chiaramente. Ripeto: così facendo, gli arbitri perdono credibilità. O parlano a livello ufficiale – magari in conferenza stampa o tramite un portavoce – in modo chiaro, lineare, preciso, oppure facciano silenzio sempre”.
IL NUMERO DI KONDOGBIA INFIAMMA SAN SIRO