Godin: “Skriniar, De Vrij e D’Ambrosio sono spettacolari. Io leader? Lo deciderà il gruppo”
L'uruguaiano: "Sarò io a dovermi adattare rapidamente alla squadra"Dopo la prima parte nella quale ha parlato della sua scelta di venire all’Inter e delle similitudini che riscontra tra i nerazzurri e l’Atletico Madrid, nonché quelle tra Conte e Simeone, ecco la seconda parte della lunga intervista rilasciata da Diego Godin a La Gazzetta dello Sport.
Marcare Cristiano Ronaldo – «Non un fatto tecnico. Ma la testa. La concentrazione. Per 90 minuti non puoi mollare un secondo, perché è quel secondo che a lui basta per segnare».
Pugno – «Quel che accade in campo, resta in campo. E non ne parlo. Però non mi piace quando si manca di rispetto».
Gesto di Ronaldo dopo Juve-Atletico Madrid – «Il Cholo (Simeone, ndr) all’andata si rivolse al proprio pubblico, la tensione lo portò a quel gesto, non ce l’aveva con la Juve. Il gesto di Ronaldo fu differente, non rispettò la gente».
Leader all’Inter – «Arrivo in una squadra nuova, devo entrare piano piano, rispettare i miei compagni. Non sono io che alzo la voce. È fondamentale che ognuno si senta importante nel suo ruolo, anche chi giocherà meno minuti. È decisivo, in una stagione con tantissime partite. Non mi piace imporre nulla, semplicemente a poco a poco le cose avverranno se i compagni me lo chiederanno».
Tabarez – «È più di un allenatore. È un formatore di uomini. Dà la priorità al lato umano piuttosto che al campo. Ha guidato un gruppo di giocatori che si intendono all’istante. Mi ha educato, ho appreso molto da lui».
Difesa più forte d’Europa – «È un onore che si pensi questo. Ho conosciuto da poco i miei compagni. Ma già l’anno scorso ho visto molte partite di De Vrij e di Skriniar, sono spettacolari, ma lo penso pure di D’Ambrosio. Sono io che dovrò adattarmi rapidamente alla squadra: in un ruolo come il mio, l’empatia con i compagni di reparto è fondamentale, ci dev’essere affinità».
Troppi 75 milioni per De Ligt? – «Il prezzo lo fa il mercato attuale, non dipende mica dal ragazzo. È un giovane, per l’età che ha ha mostrato grande personalità. È sicuramente un buon giocatore. Da qui a dire che possa diventare un top, lo dirà il tempo».
Sogni da bambino – «Facevo nuoto. Anzi, quando avevo 15 anni centrai diversi record a livello giovanile, in Uruguay. Mi piacevano molti sport: giocavo a basket, pallamano, facevo atletica. Poi a 16 anni decisi che il calcio sarebbe stata la mia vita: arrivò un’offerta da un club di Montevideo – l’Atletico Cerro -. Mi presero. Era una porta che si apriva, non potevo non provarci. E ci sono riuscito. Anche se giocavo da trequartista. Il mio idolo era Francescoli. Segnava, era bello da vedere, simbolo dell’Uruguay che nel 1995 vinse la Coppa America, tutti i bimbi tifavano per lui».
Colpo di testa – «Non faccio allenamenti particolari, mi concentro ovviamente sulla forza e sull’esplosività. Ma il colpo di testa è differente a seconda della zona di campo: in difesa mi aiuta il grande tempismo che ho sulla palla. In attacco invece devi essere aggressivo, in area avversaria devi andare solo con l’obiettivo di far gol. E, poi, certo devi avere un feeling con chi fa il cross».
Allenatore – «Ora dico di no: troppa tensione, troppe ore da dedicare al calcio fuori dal campo, anche a casa devi studiare… no, penso che farò altro. Ma sempre nel calcio, è il mio mondo».
Poco social – «Non do giudizi. Ma non mi piace mostrare troppo del privato, ritengo giusto fare così».
Venire in Italia – «Mio suocero è Pepe Herrera, ha giocato a Cagliari con Francescoli. Ha un ricordo strepitoso
della Serie A, con lui ho parlato a lungo. E poi c’è mia moglie: è nata a Cagliari, lei parla italiano, io ancora no…».
Dove vivere tra qualche anno – «In Uruguay, se convinco mia moglie a lasciare l’Europa».
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