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In una lunga intervista concessa a La Gazzetta dello Sport (leggi qui la prima parte), il tecnico dell’Inter Antonio Conte ha presentato la sua idea di calcio, raccontando ciò che serve ad un club per raggiungere la vittoria: “Vivo questa squadra 24 ore al giorno, senza sosta, con un unico obiettivo: aiutare la società a tornare stabilmente tra i top club, dove la storia vuole che stia. La vittoria finale non è mai scontata o garantita, si crea attraverso un lungo percorso fatto di passione, lavoro, fatica, sacrificio, cura dei particolari”.
Staff – “Sono tutti importanti perché per essere stabilmente competitivi ad alti livelli è necessario che ognuno dia il meglio di sé in ogni settore, alzando il livello personale e quindi quello complessivo. È la somma di questi passi in avanti che fa raggiungere la meta e segna la differenza tra i gruppi di lavoro ambiziosi, affamati di vittoria e capaci di prendersi le responsabilità e i gruppi “seduti”, abituati ad accontentarsi e ad accettare la sconfitta”.
Successo – “Molti parlano solo della vittoria come se fosse lì, facile da raggiungere, a portata di mano. Io invece parlo della mentalità vincente. Della preparazione alla vittoria. Perché, vede, si può vincere un anno anche solo per demeriti altrui o perché ti gira tutto bene, ma essere una società vincente nel tempo è un’altra cosa. E il mio obiettivo insieme al club, è riuscire a riportare l’Inter a quel livello. Però bisogna essere chiari e non vendere fumo: non ci si arriva grazie a un acquisto e neanche solo per le capacità di un tecnico, perché dieci anni senza successi come quelli passati dall’Inter non sono casuali…”.
Lavoro – “Sono un martello, lo so, ma solo così si cresce. Molto abbiamo fatto, molto ancora dobbiamo fare. Ho accettato l’incarico all’Inter sapendo di dover colmare i gap accumulati. Lavoro con questo mantra ogni santo giorno”.
Cultura – “Quando gli avversari non avranno davanti solo 11 giocatori, ma sentiranno di affrontare una cultura, una identità, un sistema di valori, una passione e uno scopo collettivo. Scudetti o coppe sono una conseguenza. Senza una cultura della vittoria non si può mai arrivare ai successi, non almeno in modo sistematico e non a quelli che lasciano un segno. Ma la cultura della vittoria arriva attraverso il lavoro, l’organizzazione. Lo scopo comune deve essere quello di fare scelte giuste che semplifichino il percorso, non che lo complichino…”.
Paragoni– “Alt. Un momento. I paragoni sono lusinghieri. E la responsabilità di raggiungere i loro risultati la sento. Ma non confondiamo le epoche e le fasi storiche del club. L’Inter di Herrera e di Mourinho erano realtà consolidate. Squadre con tanti uomini che avevano già vinto tanto. Gente di personalità, abituata alle pressioni, che si prendeva le responsabilità e non sbagliava mai nei momenti decisivi. Perché la leadership in campo non si conquista a parole, ma con i fatti… Anche la mia Inter ha dei valori importanti, voglio solo che non si confondano dimensioni diverse. Noi siamo partiti molto più indietro”.
Tempo – “Quello che guadagno lo stabilisce ciò che ho fatto nella mia carriera. Nessuno ti regala niente nel calcio. So che vengono riposte tante speranze perché ci sono io e lo accetto. Ma anche Klopp a Liverpool è stato i primi 4 anni senza vincere nulla ed è servito tempo e innesti importanti ogni stagione per costruire una squadra tra le più forti al mondo. Noi veniamo da anni in cui in Italia c’è una squadra dominatrice assoluta. E quando questo accade quella squadra scava un fosso tra lei e le altre, crea un gap. Chi insegue spesso invece di lottare per colmarlo, si è adattato ad essere il primo tra i secondi. Senza lavorare su tutti quei particolari che ti portano a migliorare davvero in tutto. Voi vedete il risultato del campo. Ma le partite si vincono in settimana e per riuscirci c’è bisogno che funzioni tutto. Quando sono venuto all’Inter non conoscevo nulla… Né le strutture, né l’ambiente, né le componenti del club, né il settore sanitario. C’è voluto un po’ per capire e farmi capire. Ora conosco tutto e tutti, ed è un grande vantaggio. Sono state cambiate tante cose in un anno: i campi, la foresteria, le strutture, le abitudini. La società e chi lavora nell’Inter mi supporta e mi… sopporta (sorride, ndr). E stiamo migliorando insieme”.
Idee – “Io ho un’idea molto ampia e a 360 gradi della società, perché so che se non funzionano bene le cose intorno alla squadra ne risentono anche le cose dentro al campo”.
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