EDITORIALE – Lacrime e sangue
di Giorgio Crico.
E così è passata anche la bufera Juventus. Il ciclone bianconero s’è abbattuto impietosamente sull’Inter e già minaccia di lasciare ruderi e detriti tipicamente mediatici perché molti degli “addetti ai lavori” (che su Twitter vengono spesso chiamati “#scolleghi”) si stanno già sbizzarrendo nel gettare fango sulla già fin troppo sgangherata trincea nerazzurra. Tra un Hernanes descritto come “Assai deluso dal livello di gioco mostrato dalla truppa di Mazzarri allo Juventus Stadium” (come se il Profeta non avesse mai visto una partita dei suoi nuovi compagni negli ultimi due mesi, togliendo anche il fatto che ci ha giocato contro a inizio gennaio) e un “Mazzarri già in discussione, si fanno i nomi dei sostituti“, il male tanto decantato a suo tempo da Mourinho volto a destabilizzare l’ambiente è già ripartito in pompa magna come se il Biscione annaspasse in zona retrocessione.
Per carità, definire il momento attuale della Beneamata come roseo sarebbe follia, ultimamente sta andando davvero tutto storto dalle parti di Appiano Gentile e su questo non ci piove. In questo senso, nonostante abbia (purtroppo) buona concorrenza vedendo le gare che l’anno preceduta, la sfida di Torino contro la capolista si può però serenamente registrare come la peggiore sin qui disputata dall’Inter, nonostante una Juventus che, a tratti, dietro è apparsa più svagata del solito (Palacio ha comunque avuto due buone opportunità, di cui una clamorosa) e che quel che ha concesso l’ha concesso per demeriti propri più che per reale pericolosità degli uomini di Mazzarri.
Ora il momento del Biscione è fondamentale e di importanza capitale: un momento zero in un anno zero, per usare doppiamente la definizione della stagione 2013/2014 che tanto va di moda. L’anno scorso gennaio fu l’inizio del tracollo culminato nel nono posto, Mazzarri adesso ha la possibilità e la responsabilità di far ripartire la sua squadra eclissando il “rumore dei nemici” dalle teste dei giocatori e cercare di riplasmare la squadra che, a inizio stagione, più che per effettive qualità tecniche, aveva stupito tutti per la voglia di divorare il campo e fare risultato.
Bene, il carattere di quell’Inter, che pare già sia una squadra di un secolo fa quando invece sono passati appena tre mesi, è ciò che il tecnico labronico deve recuperare quanto prima. Bisogna rivedere l’Alvarez in versione assatanata che tutti hanno ammirato tra agosto e inizio novembre, Palacio deve recuperare l’istinto killer che a gennaio pare aver perso, la difesa deve tornare a essere tignosa e coriacea come a inizio anno. Ma, soprattutto, deve tornare a vedersi di nuovo un efficace filtro a centrocampo, probabilmente la vera ragione di questa serie di passaggi a vuoto che sembra non finire più (e dal quale dipende anche in parte l’imbarazzo della retroguardia, specialmente in un modulo con tre difensori). Riforgiato il carattere e lo spirito di squadra, operazione fattibile solo con giocatori che lascino in allenamento lacrime e sangue ogni santo giorno, si potrà tornare a parlare di tattica e di modulo.
Tattica e modulo che, al momento, restano incognite quasi totali (3-4-2-1 o 3-5-1-1?). Quando l’Inter ha iniziato a incepparsi un po’, Mazzarri è ricorso alle due punte senza cambiare di molto i risultati di squadra, Kovacic pare ancora un pesce fuor d’acqua nonostante abbia provato praticamente tutti i ruoli in mediana, Kuzmanovic azzecca una partita su quindici e Cambiasso starà fuori ancora quasi un mese.
Le prospettive sono queste e non sono particolarmente incoraggianti, ma un abbozzo di strategia dalla quale ripartire si può forse tentare anche in questo frangente così delicato: certamente la prima cosa da fare sarà far rifiatare Jonathan e mettere più minuti possibili nelle gambe di D’Ambrosio per far sì che l’ex numero 3 del Torino possa inserirsi il prima possibile negli schemi dell’allenatore ex Napoli. Inoltre è ormai evidente che Kuzmanovic non ha le doti per ambire a un posto da titolare in questa Inter e, con un Kovacic da tutelare e far crescere considerando anche il forfait di Cambiasso, l’unica è continuare a schierare il croato in cabina di regia, di modo che possa migliorare anche le sue performance a livello di interdizione con la pratica (le stesse perplessità esistevano anche su Pirlo quando venne retrocesso in mediana da Mazzone…) e non pestarsi i piedi con Hernanes. Se non ora che manca Cambiasso, il giovane numero 10 difficilmente avrà delle chance nel ruolo che ha sempre detto di preferire.
Come mezz’ali del possibile 3-4-2-1 mazzarriano non si possono evitare le scelte quasi obbligate di Alvarez a sinistra e Taider a destra, con l’argentino pronto a scambiarsi di posto con Hernanes a seconda di come si metta l’azione. Il Profeta sarebbe probabilmente da far partire sulla tre quarti per utilizzarne al meglio le doti di passatore e tutti sanno quanto all’Inter manchi un uomo che abbia l’assist nelle sue corde. In linea col novello numero 88 ecco l’inevitabile Palacio e davanti a tutti la scelta è ridotta a una staffetta tra Milito e Icardi, affinché entrambi i centravanti possano mettere nelle gambe quei minuti di cui tanto hanno bisogno.
E Guarin? Chissà, certamente andrà verificato in che condizioni mentali tornerà a Canossa il colombiano dopo il qui pro quo con la Juventus.
Al di là delle mere speculazioni teoriche, comunque, le parole d’ordine devono essere lacrime e sangue. In allenamento come in partita. Perché l’Inter ha sempre costruito i suoi successi su questo e Mazzarri ci si era trovato bene: ora si deve recuperare quella mentalità e quell’umiltà (che, attenzione, non è sinonimo della codardia vista invece ieri sera) perché, allo stato attuale, è evidente che la Beneamata non può funzionare.
E questa consapevolezza fa dannatamente male.