Il leit motiv delle sconfitte dell’Inter è sempre il medesimo e si può ridurre ad una singola massima: nessuno impara dai propri errori. Squadra, allenatore e società continuano a seguire il medesimo sentiero senza far tesoro dei problemi precedenti.
Partiamo dai piani alti, la società. Al di là dei forti problemi economici, presidente e dirigente sono i primi a non aver imparato. Certo l’infortunio di Lukaku non era prevedibile, ma dopo aver letteralmente buttato lo scorso Scudetto anche nel mercato estivo, non ha cambiato rotta in quello attuale. Certo, ha regalato a Inzaghi un paio di giovani di belle speranze come Asllani e Bellanova. Peccato però che fosse scolpito nella pietra che il tecnico non avrebbe osato metterli in pianta stabile in squadra. Sul mercato raramente si segue il pensiero del tecnico e quando lo si fa, vedi Correa, si fanno buchi nell’acqua.
Il problema è che così facendo si entra in un circolo vizioso di profili inadeguati, tra giocatori al tramonto, mai sbocciati o ancora immaturi e acerbi. Senza dimenticare le continue dichiarazioni sulle “prestazioni” anziché i risultati. Per certi versi una sorta di resa inaccettabile. Nonostante tutti i limiti della rosa, l’Inter AVEVA, ormai il passato è d’obbligo, il dovere di puntare allo Scudetto. Il calcio italiano è talmente in crisi, che anche una rosa costruita su queste basi sbagliate avrebbe potuto dominarlo passeggiando. E invece a novembre è già tutto in archivio. Servirà a imparare qualcosa? Mah…
Non vanno dimenticate ovviamente le colpe di allenatore e squadra, ossia quelli che hanno la fetta di responsabilità maggiore. Il tecnico continua imperterrito sulle sue convinzioni e i suoi dogmi. Che di per sé sarebbe anche encomiabile ovviamente. Il problema è che c’è un confine sottile fra l’incrollabile fiducia nei propri mezzi e la paura di cambiare. E ormai dopo due stagioni è evidente il vero motivo sia il secondo.
Inzaghi non riesce a imparare. Fortissimo nelle gare secche, si perde sul lungo periodo, andando in tilt specialmente negli scontri diretti. Non ha varianti offensive che garantiscano alternative valide e non riesce nemmeno a migliorare la difesa. Gli uomini della retroguardia sono gli stessi eppure la situazione si è deteriorata in maniera evidentissima. Lo scorso anno le scorie della cura Conte avevano probabilmente limitato i danni. Ora che però si sono esaurite, tutti i nodi vengono al pettine.
Interpreta quasi sempre la partita in corso nel modo sbagliato, peggiorando le cose con i cambi, peraltro quasi sempre tardivi. Il suo spartito non prevede vere varianti e ormai gli avversari hanno imparato facilmente a leggerlo. L’assenza di Lukaku pesa, ma non giustifica il rendimento in stagione. Lukaku non c’era nemmeno lo scorso anno, eppure la situazione era ben diversa. Senza dimenticare poi l’ossessivo terrore delle espulsioni, che non solo lo rende prevedibile, ma blocca anche i suoi stessi giocatori, timorosi di venire sostituiti al primo fallo.
Nonostante i tanti mesi in un grande club, il tecnico non sembra essere ancora del tutto entrato nell’ottica della nuova dimensione… o forse, ancora peggio di esserci entrato fin troppo L’Inter non è la Lazio e questo probabilmente lo spaventa. Lo blocca, non gli permette di osare, cambiare come vorrebbe. Ma questa evidente mancanza di personalità non può che tradursi nella stagione, Europa a parte, fallimentare vista finora. Forse è ora di smetterla di lamentarsi a mezza bocca e di rimboccarsi le maniche. O di accettare di non essere pronto al grande salto.
Infine i giocatori, coloro che più di tutti stanno deludendo. I vari presunti top player steccano sistematicamente quando la palla pesa. Il gruppo si specchia troppo e finisce per sgonfiarsi alla prima difficoltà. Tutta la superiorità che si pensa di avere evapora come neve al sole. La difesa balla in maniera imbarazzante, l’attacco gira a vuoto. E il solo centrocampo, unico reparto che prova a tirare la baracca con continuità, non può sopperire da solo alle mancanze degli altri. La personalità latita sempre nei big match, così come qualcuno che si prenda le responsabilità di trascinare il gruppo nei momenti di crisi. I vari Barella, Skriniar e Lautaro in primis, dovrebbero fare e dare molto di più. Ma tra tutti, forse solo l’argentino è consapevole dei propri limiti e di cosa debba ancora migliorare.
Una macchina che non ha nessun ingranaggio che gira perfettamente, a tutti manca qualche dente. Ma una pezza in qualche modo va messa, volenti o nolenti. Altrimenti è un attimo non arrivare nemmeno tra le prime 4 quando si tirano i remi in barca. E una mancata qualificazione sarebbe semplicemente disastrosa per le casse del club. E, forse, anche per il futuro di qualcuno.
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