Essere Inter ed essere l’Inter: identità e rappresentanza, anima ed istituzione, appartenenza e dovere. L’essenza è il collante spirituale che lega questi due concetti apparentemente simili, ma incredibilmente distanti: nel senso che la comunanza sta nell’equilibrio che permette di differenziare l’importanza dell’ideale e l’impegno di difenderlo.
La prima è la condizione perché il secondo si materializzi, ma il secondo può non calarsi pienamente nella prima: quando invece succede, l’ideale si evolve in valore e diventa immortale. È tutta qui la diversità culturale e pratica fra essere Inter ed essere l’Inter, ed è interamente contemplata in 113 anni di storia di trincee e di imprese, di esaltazioni e di frustrazioni, di carezze della vittoria e di rimproveri della sconfitta.
Essere Inter sta nel sentimentalismo della famiglia Moratti, nell’avvenirismo di Angelo di dedicarsi alla creazione di un’epica e nel desiderio di emulazione di Massimo di attualizzare la gloria del padre. Essere Inter è il rifiuto della prostituzione intellettuale contro cui Jose Mourinho avviò un moto di protesta oltre un decennio fa e che raccoglie seguaci ancora oggi, perché il culto dell’anticonformismo è intrinseco nella dimensione di straordinarietà nella quale l’Inter si specchia.
Essere Inter è la sfrontatezza forse un po’ borghese ma comunque coinvolgente di Roberto Mancini, artefice del risorgimento interista del Terzo Millennio e restauratore di un senso di Interismo nostalgico e bauscia, che i suoi testimoni con affetto ricordano e che i posteri con devozione rispettano. Essere Inter è nella capacità di mettersi in discussione e nella cultura del lavoro di Trapattoni e di Conte: Giovanni entrò a far parte della mitologia nerazzurra in una parentesi fra l’approdo da nemico e il congedo da beato, ed Antonio ne sta fedelmente ripercorrendo le orme, con la perseveranza e la dedizione di chi non ha avuto il privilegio di nascere con il Nero e il Blu sottopelle e il Biscione avvinghiato attorno al cuore, ma che vuole meritarlo e quindi conquistarlo.
Ecco la distanza: essere l’Inter è un onor di firma, un cenno di serietà che si deve al rispetto di un contratto, e non alla complessità di cosa vuol dire incarnare il nerazzurro. Essere Inter, di converso, equivale all’orgoglio della specialità e alla dipendenza dell’amore, che vive di asfissia di emozioni e che ne genera di infinite. Essere Inter è la gioia di essere soli: a volte contro tutti, ed altre contro nessuno, ma proprio per questo unici ed irripetibili. Da 113 anni. Per sempre.
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