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Julio Cesar: “Il mio strano rapporto con Mourinho. Nel 2010 mi disse che sembravo un portiere di Serie C”

LACRIME A MADRID

Madrid 22 maggio 2010: finale di Champions League Bayern Monaco-Inter – nella foto: coreografia tifosi inter

MOTIVATORE – “Nella stagione 2008–09 il mio rapporto con Mourinho era come quello di un padre e un figlio. E poi è diventato più… beh, diciamo che è diventato solo più complesso. Quando è arrivata la primavera del 2010 eravamo in lotta per lo scudetto, la Coppa Italia e la Champions League, il triplete. Io stavo giocando male. Avevo perso fiducia in me stesso. Un giorno, mentre mi stavo riscaldando prima dell’allenamento, Mourinho si avvicinò e mi disse, con una voce fredda come il ghiaccio: ‘Senti, tu sei passato da essere il migliore portiere del mondo a un portiere di Serie C’. Questo era il suo modo di motivarmi, lo sapete? L’idea era che io mi sentissi provocato per reagire. E con quasi tutti i giocatori, funzionava bene. Quella squadra ha avuto tanto successo perché Mourinho ci trattava in un modo diretto e molto trasparente. Non importava chi eri, lui ti criticava davanti a tutti. Ma la cosa è che non tutti reagiscono bene a questo tipo di atteggiamento. E io ero uno di questi. Ho perso la fiducia. In campo, mi sentivo ancora più’ insicuro”. 

IL TRIPLETE – “Ma un’altra cosa positiva di Mourinho era che se tu ti sentivi trattato ingiustamente, potevi andare a parlargli. E in quel periodo abbiamo avuto una lunga chiacchierata molto positiva. Prima di quella chiacchierata, mi ero sentito triste e pesante. Dopo quella chiacchierata, ero tornato alla normalità. Qualche mese dopo, sono stato scelto come portiere dell’anno in Europa da parte della UEFA. Abbiamo vinto il campionato e la Coppa, ma la grande conquista è stata la Champions League. Erano passati 45 anni senza vincerla, e il nostro presidente, Massimo Moratti, ne era ossessionato. Abbiamo giocato la finale contro il Bayern Munich al Santiago Bernabéu, a Madrid. Avevo invitato circa 70 o 80 persone! Tutta la famiglia e amici dagli Stati Uniti, Italia, Brasile, dappertutto. Al fischio finale, ho attraversato il campo per festeggiare con la mia famiglia e gli amici. Volevo soprattutto vedere mia madre, Maria de Fátima. Lei è sempre stata quella che mi ha dato fiducia, e che da bambino mi spingeva per giocare 11 contro 11, perché io preferivo giocare a futsal. L’ho baciata e abbracciata. E’ bellissimo poter condividere un momento del genere con tutti quelli che ti hanno sostenuto nel tuo lungo percorso. Nel campo, i giocatori e lo staff tecnico si abbracciavano, si baciavano, piangevano… ho trovato mio figlio, Cauet, me lo sono messo sulle spalle e siamo tornati in campo. Ho avuto il privilegio di godermi quel momento così speciale anche con lui”.

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Antonio Siragusano

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