Kondogbia: “Il mio cartellino non è mai stato un peso. Il ruolo in campo? Il 4-2-3-1 è perfetto per me”
Acquistato per 31 milioni l'estate scorsa, Geoffrey Kondogbia doveva essere il trascinatore del centrocampo nerazzurro. Dopo un anno di rodaggio il francese si sente pronto per prendersi l'Inter sulle spalleSicuramente è uno dei giocatori più attesi per l’imminente inizio di stagione. Geoffrey Kondogbia ha indubbiamente le qualità per essere considerato un giocatore chiave ma deve ancora lavorare molto sulla continuità. Su di lui ha pesato tantissimo anche la somma spesa dall’Inter per strapparlo alle concorrenti, come se uno pagato 31 milioni dovesse estrarre ad ogni partita il coniglio dal cilindro. Ecco che, dopo un anno di ambientamento nella nostra Serie A, il giovane francese si confessa con una bella intervista a La Gazzetta dello Sport:
D. Un anno dopo: come le sembra lavorare a Riscone?
«Mi sembra tutto più facile. Non ero abituato a questo tipo di preparazione e ne ho sofferto».
D. Crede di aver sbagliato qualcosa nel suo approccio alla Serie A?
«No, non credo. Penso che molto sia dipeso dalla preparazione, dall’aspetto fisico».
D. Lei ha giocato nella Ligue 1 francese, nella Liga spagnola e nella A italiana: bilancio finale?
«Questo campionato è decisamente il più competitivo perché è il più completo per impegno fisico e approfondimento tattico».
D. La stagione scorsa è andata in crescendo, con un ottimo finale. Quest’anno è chiamato a fare bene fin dal principio.
«Quest’anno il mio obiettivo è quello di giocare bene tutte le partite, farlo con continuità per puntare a tornare in nazionale. Penso al Mondiale 2018 e voglio esserci. E per farlo dovrò giocare su ottimi livelli tutto l’anno con l’Inter».
D. I suoi connazionali hanno sfiorato il titolo continentale domenica sera…
«Ho guardato la partita (scuote la testa, ndr), è stato incredibile come sia finita. Un peccato enorme aver perso un’occasione del genere. Ma è il calcio e bisogna solo applaudire il Portogallo per quello che ha saputo fare».
D. Lei è molto amico di Paul Pogba: vi siete sentiti dopo l’ultima partita?
«Sì, ci sentiamo spesso. Ma non parliamo di calcio».
D. Geoffrey-Paul era la coppia del futuro quando la Francia Under 20 vinceva il Mondiale di categoria in Turchia nel 2013. Pogba è diventato Mister 120 milioni, lei si sente un po’ in ritardo?
«Penso che ognuno abbia il suo cammino da seguire e che lo porterà al suo livello nel tempo necessario. Non si possono fare paragoni tra me e Paul…».
D. Lei è stato pagato 31 milioni più bonus e aveva 22 anni: ha inciso sul rendimento?
«Quando scendevo in campo non pensavo certo a quanto ero stato pagato. Anche perché il prezzo del mio cartellino non è mai stato un problema per me».
D. Per settimane si è discusso del suo ruolo: ci aiuti a conoscerla meglio.
«Sono cresciuto giocando in un centrocampo a 2 davanti alla difesa sull’interno sinistro, ma posso anche giocare in una mediana a 3, sempre sulla sinistra».
D. Quindi il 4-2-3-1 di Roberto Mancini le calza perfettamente?
«Mi ci vedo bene, certo. Ma il calcio moderno prevede diversi sistemi di gioco. Bisogna sapersi adattare e saperlo fare in fretta».
D. Nel processo d’ambientamento, l’Italia le è stata d’aiuto?
«Non credevo di trovarmi così bene e di inserirmi così in fretta. In poco tempo Milano è diventata una piccola Parigi per me. E nel tempo libero cerco di viverla insieme con mio figlio Noam».
D. La Milano interista è molto esigente. Dopo il 4° posto dello scorso anno, si può puntare allo scudetto?
«Bisogna essere realisti sugli obiettivi da raggiungere e raggiungibili. Migliorare il quarto posto significa entrare in Champions, che è ciò che vogliamo e che la società chiede. Giustamente, secondo me, per un club come l’Inter. Poi si vedrà durante la stagione, come si svilupperà il campionato».
D. Fino allo scorso gennaio sembravate una squadra da scudetto, poi il buio. Cosa è successo?
«Dopo un ottimo inizio abbiamo incontrato alcune difficoltà che hanno messo in evidenza i nostri limiti e le nostre lacune. E il fatto di segnare poco ha acuito le difficoltà in quei quaranta giorni dopo la pausa natalizia».
D. Come si completa quindi un’Inter capace di stare in testa per quasi metà campionato?
«Si completa con il carattere, mettendone in campo durante gli allenamenti e durante le partite. E questa è una nostra responsabilità, dobbiamo essere noi a mettercene perché di qualità calcistica questa squadra è piena».
D. Il 13 novembre 2015 la Francia è stata segnata per sempre dagli attentati di Parigi: cosa ricorda di quella sera?
«Uno stato d’ansia e agitazione che sembrava non finisse mai. Appena ho visto le prime immagini e letto le prime notizie mi sono attaccato al telefono. Ho chiamato tutti i parenti e gli amici che erano in quella zona. E fino a quando non sono riuscito a parlare con tutti non ho smesso. È stato un duro colpo per la Francia e per tutta la civiltà mondiale».
D. Negli ultimi giorni è riemerso il sentimento d’odio verso i neri. Mai avuto problemi in tal senso con qualche ignorante?
«Qualche volta, in campo e fuori, ma sono stati piccoli episodi marginali. Non bisogna dar loro importanza».
D. Ripete qualche gesto scaramantico prima di scendere in campo?
«Controllo che sia tutto a posto, l’abbigliamento, le scarpe, tutto in ordine».
D. L’anno scorso ha avuto modo di condividere parte della stagione con il fratello Evans che giocava in Lega Pro con il Renate. Lo aspetta ancora in Italia?
«Spero proprio di rivederlo qui, non troppo lontano da Milano così potremo passare insieme ancora molto tempo. Siamo molto uniti, abbiamo molte passioni in comune (come l’Nba, ndr) e per questo motivo lo aspetto».
D. Quando ha lasciato Siviglia, è arrivato Ever Banega. Ora avrete la possibilità di giocare insieme finalmente!
«Ho davvero tanta voglia di conoscerlo e di giocare insieme. Ho visto diverse sue partite ed è un grande calciatore. Sono sempre pronto a scendere in campo accanto a gente come lui».
D. A Montecarlo, dove andò dopo Siviglia, è stato allenato da Claudio Ranieri. Cosa le diceva il tecnico ora campione d’Inghilterra?
«Mi diceva continuamente di essere più cattivo agonisticamente, di essere più aggressivo quando andavo a caccia di palloni e di avere più grinta nel buttarmi nello spazio».
D. E invece Mancini cosa le dice adesso?
«Più o meno la stessa cosa (ride, ndr). Insiste sui movimenti da fare quando siamo in possesso palla e quando non lo siamo. Insomma, il mister mi chiede di fare di più dovunque».
D. Un attestato di stima, d’altra parte l’ha voluta lui fortemente…
«Lo so, infatti voglio lavorare sempre di più per migliorare il mio rendimento. Non posso e non voglio accontentarmi di quello fatto finora. So che posso migliorare ancora di più».
D. Se la sente di promettere qualcosa ai tifosi?
«È sempre difficile fare promesse perché la stagione è lunga, ci sono tre competizioni e le variabili sono molteplici. Però posso dire che daremo di tutto per fare meglio dello scorso anno. E prometto di realizzare più di un gol visto che l’anno scorso ho segnato solo al Torino».