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La leggenda dello svedese volante: Lennart “Nacka” Skoglund

All’Inter sono passati tanti campioni in quasi 114 anni di storia. Dal Fenomeno Ronaldo al Divin Codino Baggio, da Sandrino Mazzola e Luisito Suarez a Lothar Matthäus, il grande libro della favola nerazzurra è pieno di artisti del pallone clamorosi. Alcuni però, quelli più eccentrici e meno vicini ai giorni nostri, spesso rischiano di cadere nel dimenticatoio, vittime dell’effimerità della gloria. È il caso di Lennart “Nacka” Skoglund, funambolico ed estroso talento svedese, spentosi troppo presto.

Lennart viene alla luce nella Svezia di fine anni ’20, precisamente il 24 dicembre del 1929, la Vigilia di Natale. E, proprio come se fosse un piccolo messia che fa miracoli, il giovane Skoglund sorprende tutti fin da bambino, facendo meraviglie con un piede che, anziché scolpito nel ghiaccio della fredda Scandinavia, sembra arrivare dritto dal cuore caldo del Brasile. Cresce nel quartiere di Stoccolma chiamato Nacka, da cui prenderà poi il suo famoso soprannome.

È un pigrone e come molti fenomeni, abbina genio e sregolatezza: ama dormire e divertirsi. E, soprattutto, giocare al pallone. Si dice addirittura che da bambino per aiutare la famiglia facesse delle consegne per una tipografia. Ma ci metteva sempre una vita a tornare e, una volta completata la consegna, si presentava sempre madido di sudore. Un giorno il datore di lavorò lo seguì e scoprì il perché: si fermava al campo a giocare a calcio!

Skoglund

Lennart fin da ragazzo segna valanghe di goal, ma non è un attaccante puro, un colosso prestante come il connazionale Nordahl, che macinerà poi record nel Milan. Pur segnando tanto, Nacka è un esteta del pallone, un dribblomane purissimo e in grado di far ammattire qualsiasi difesa. Un’artista, un genio prestato al pallone: capace di giocate al limite dell’impossibile, di vedere linee di passaggio e di tiro letteralmente improponibili per chiunque altro. Si racconta addirittura che avesse un “vizio” particolare: lanciare in aria una monetina, calciarla con il tacco del piede e infilarsela al volo nel taschino della camicia. Un esempio della sua bravura clamorosa.

La consacrazione la ottiene a soli 18 anni, quando affronta i mondiali del ’50 da protagonista e con la 10 sulle spalle, forte del premio di miglior calciatore dell’anno in Svezia. Sarà il trascinatore della sua Nazionale svedese, che porterà ad un clamoroso terzo posto. Appena tornato a casa, viene acquistato dall’AIK Stoccolma, che per convincerlo addirittura, oltre ad un appartamento in centro città, gli propone un posto fisso. Come calciatore? No, come venditore di serramenti e persiane. All’epoca gli stipendi da calciatore erano leggermente diversi rispetto ad oggi…

Le sue doti però non passano inosservate nemmeno in Italia e l’Inter decide di portarlo all’ombra della Madonnina, sborsando ben 20 milioni di lire. Scegli il modo migliore per entrare nel cuore dei tifosi dell’Inter. 12 novembre 1950, Derby contro il Milan e subito goal, quello del 2 a 0. Tutto qui? Assolutamente no. Nordahl rimonta da solo, ma nel finale ancora Skoglund sbuca su una respinta e insacca il definitivo 3 a 2, facendo impazzire di gioia i fan dell’Inter. Di colpo per la Milano nerazzurra era come se fosse arrivato il Carnevale. Un carosello fatto di goal, dribbling, meraviglie dentro e fuori dal campo. Lennart era il nuovo che avanzava, la libertà e la speranza che soffiavano forte dopo le atrocità e il dolore della guerra.

Come Meazza amante delle donne e delle ore piccole, Skoglund era un eroe fuori dagli schemi, una calamita per tutto ciò di buono che poteva offrire il mondo alla sua inconfondibile zazzera di capelli biondissimi. L’Inter gioca dando spettacolo e segnando a raffica, spinta dalle magie cosmopolite di Wilkins, Nyers e Skoglund. Sono gli anni d’oro per Nacka, i migliori di una vita difficile. Nel 1952 sposa Nuccia Zirilli, ex Miss Calabria, e nel 1953 e nel 1954 vince due Scudetti consecutivi con l’Inter da protagonista. Nel 1958 trascina la Svezia nel mondiale di casa, portandola ad un gradino dalla gloria: solo il Brasile di un giovanissimo e mostruoso Pelé infatti fermerà nella finalissima il volo degli scandinavi. Sarà incredibilmente l’inizio della fine.

Skoglund

Rientrato in Italia scopre che un suo amico, socio in affari, lo ha truffato e gli ha portato via tutti i soldi. Le sfavillanti luci della ribalta e della bella vita dei primi anni ’50 stanno svanendo. Inizia a bere, tanto, troppo. L’alcool prima gli strappa la vita da calciatore, guastando il suo talento, poi quella vera. Nel ’59 l’Inter lo cede alla Sampdoria, dove giocherà 3 anni, portandola, seppur da ombra di sé stesso, al quarto posto nel 1960-61. Finirà la parentesi italiana al Palermo, prima di fuggire dai suoi problemi in Svezia, lasciando la moglie e i due figli in Italia.

Dopo aver incredibilmente trascinato l’Hammarby, squadra di Serie B svedese, in Serie A, viene lasciato solo da tutto e tutti. L’alcolismo gli scava intorno un fossato impossibile da valicare ormai, per gli altri ma soprattutto per lui. Sempre più provato nel fisico e nella mente inizia la spola tra comunità di recupero e cliniche, dove ogni volta si ripresenta in condizioni peggiori. Nel luglio del 1975, a soli 46 anni, finisce tristemente la breve e tormentata corsa di Nacka.

Viene trovato privo di vita sulle sponde di un lago, vicino alla casa paterna, colto da un infarto. In Svezia, in memoria di uno dei più grandi, se non il più grande, talento della storia del paese, è stata eretta una statua di fronte alla sua casa d’infanzia. Skoglund è stato l’esempio più clamoroso di talento bruciato dalle avversità della vita, stroncato da una debolezza che, per quanto forte con il pallone tra i piedi, non è mai riuscito a dribblare.

I freddi numeri però non potranno mai spiegare cos’era Lennart “Nacka” Skoglund. Un folle, meraviglioso, magico e imprendibile numero 10, una saetta bionda che accendeva la luce in campo e sugli spalti. Fingiamo di non sapere come è finita la favola, fingiamo che la storia non sia di vita vera. Nacka rimarrà in eterno quel bimbo ossigenato che faceva canestro nel taschino della camicia con un colpo di tacco e una piroetta.

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Pietro Magnani

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