Lautaro: “Ecco perché mi chiamano il Toro. Una fortuna giocare con Messi, sento spesso Milito. Dybala? Sul suo futuro…”
La seconda parte dell'intervista concessa dal numero 10 nerazzurro ai microfoni de La Gazzetta dello SportDopo la prima parte dell’intervista di Lautaro Martinez concessa ai microfoni de La Gazzetta dello Sport in vista della delicata sfida in programma questa sera tra Inter e Juventus, ecco la seconda dove il Toro ha voluto ripercorrere la sua carriera in Argentina rivelando anche curiosi retroscena legati alla sua vita privata.
Radaelli, l’uomo che la portò al Racing, diceva che in Lautaro ci sono due giocatori in uno: “Lui per me stravedeva. Ripeteva spesso che io potevo crossare e poi andare a colpire di testa il pallone: per questo “due giocatori in uno”. Per lui ho una vera ammirazione: lo sento ancora, è un maestro. Al Racing, appena arrivato giovanissimo, volevo andarmene, lui mi ha convinto e sostenuto: gli devo la carriera”.
Nostalgia dell’Argentina: “Sono cresciuto, conosco le mie responsabilità. E poi a casa c’è la mia fidanzata al mio fianco. Lei è molto intelligente, mi confortava quando non giocavo ed ero triste. E comunque non passa giorni in cui non senta la mia famiglia”.
Un passato nel basket: “Mi allenavo a basket, ma senza fare tornei. L’ho mollato quando sono arrivato in prima squadra a Bahia Blanca. Facevo il play, il piccolo che porta palla: non fossi diventato calciatore, oggi sarei sicuramente un cestista. Cosa mi ha insegnato? Ho preso le virate, l’uscita, la protezione, il sapersi smarcare dal difensore. E poi i movimenti senza palla e i tagli veloci: sì, il basket tuttora mi aiuta in campo”.
Ginobili o Messi? “Ginobili non lo conosco…come faccio a non dire Messi? Per lui non ci sono parole”.
Falcao o Milito? “Milito. Con lui ho una relazione speciale, ci ho giocato insieme, mi chiama spesso”.
Maradona o Messi? “Maradona ha fatto cose che non avevo mai visto far da nessuno prima. Messi in ogni match tira fuori soluzioni inimmaginabili: è una fortuna ammirarlo”.
Paulo Dybala: “E’ un giocatore di grande livello, con cui uno vorrebbe giocare sempre, perché ti aiuta a migliorare o a segnare di più. Poi io sul suo futuro non posso dire niente…”.
L’adattamento in Italia: “Se ho cambiato il mio modo di giocare? Cambiato no, ho dovuto aggiungere degli ingredienti”.
Il difensore più forte affrontato? “Posso dire Skriniar? Koulibaly, un grande. E mi piace Kolarov per come attacca e poi torna a difendere”.
La vita milanese: “Ruota intorno al calcio, la maggior parte del tempo penso a quello. Cerco luoghi in cui stare tranquillo e divertirmi, senza troppi tifosi. Adoro i ristoranti di carne, il mio preferito è il Porteno. Ma ora ho scoperto anche il sushi. Devo solo stare attento alla dieta. Conosco il mio peso ideale e lo rispetto. L’asado mi frega, dovrei mangiare meno carne… Curo questi dettagli da quando al Racing mi presentarono un nutrizionista: volevo imparare a mangiare bene, iniziai a seguire i suoi consigli e non ho più smesso”.
Il rapporto con i social: “Ho solo Instagram, ma lo uso pochissimo. Una volta in Argentina decisi di chiuderli definitivamente, perché dopo un’espulsione cominciarono a scrivermi di tutto. Ma la gente non conosce le cose, è dietro a un computer, così è facile… Ma so che funziona così: se sbagli un gol sei il peggiore, se lo segni diventi il migliore”.
Il soprannome: “Perché mi chiamano il Toro? Al Racing due compagni che erano con me alla pensione Brian Mansilla e Santiago Reyes mi diedero quel soprannome per via della forza che mettevo in campo. E perché chiedevo ogni volta il pallone come fosse l’ultimo da giocare”.
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