16 Novembre 2011

L’inestimabile patrimonio nerazzurro che rischia di perdersi nel nulla

Senza voler scendere in terminologie e tecnicismi economico-giuridici potremmo dire che nel linguaggio comune la parola patrimonio indica un insieme di beni, solitamente materiali e suscettibili di valutazione economica. Restando su questa definizione e applicandola a una società calcistica potremmo facilmente individuare il patrimonio di quest?ultima nell’insieme di beni, capitale monetario, capitale umano (giocatori)  e via discorrendo che gli appartengono. Scendendo dal generale al particolare e prendendo in riferimento l’Inter si potrebbe facilmente dire che il suo patrimonio, nella sua complessità, è di assoluto rispetto, visto e considerato che si parla pur sempre di una delle forze economiche del calcio più importanti al mondo. Ci sarebbe da dormire sonni tranquilli anche per il futuro, dato che alle spalle del club nerazzurro c’è una famiglia di spicco nel panorama imprenditoriale italiano e globale, quella dei Moratti, e in più c’è da aggiungere che le politiche economiche oculate messe in atto negli ultimi anni dal patron Massimo e dai suoi collaboratori dovrebbero mettere al riparo l’Inter dal pericolo di tracolli economici e problemi finanziari di vario genere almeno nel prossimo futuro.

Fin qui l’aspetto più squisitamente economico del patrimonio dell’Inter. Ne esiste un altro però di patrimonio che è meno tangibile, anzi quasi del tutto astratto, e certamente non è sottoponibile a  valutazione economica, ma non per questo è meno importante della sua controparte monetaria: si tratta, volendo utilizzare un?espressione ormai ricorrente nel gergo quotidiano, di una specie molto particolare di Know How. Queste due paroline indicano soprattutto in campo lavorativo e industriale l’insieme delle conoscenze e delle nozioni acquisite da determinati soggetti nel corso delle proprie esperienze di lavoro, il bagaglio di capacità e ?trucchi del mestiere? che solitamente solo una determinata elite di lavoratori particolarmente specializzati e brillanti possiede e che può fare la differenza a favore di chi riesce ad accaparrarselo.

Trasliamo ora il discorso in ambito Inter. Il Know How cui facciamo riferimento riguarda in questo caso il concetto di sacrificio al quale immediatamente segue quello di successo, di vittoria. Parlando di sport l’espressione usata poc’anzi potrebbe anche tradursi con quella molto più consona di mentalità. L’Inter, o meglio i suoi giocatori, quelli più rappresentativi, quelli che indossano la maglia nerazzurra ormai da innumerevoli stagioni sono detentori di quella mentalità, di quell’atteggiamento che li ha portati a vincere tutto, che li ha trascinati sul tetto del mondo. Perché si può sostenere strenuamente che i successi in ambito sportivo arrivano semplicemente al ?più bravo?, ma le capacità tecniche a atletiche se non sono supportate da una mente e da uno spirito dediti all’impegno e bramosi di successo rischiano di dar vita alla categoria sempre poco apprezzata degli eterni incompiuti.

Il rischio più grosso in questo momento per l’Inter e per il suo futuro è proprio quello di lasciar perdere nel nulla tale mentalità. Come una tradizione ancestrale infatti lo spirito vincente deve essere tramandato di generazione in generazione (in questo caso di calciatori) da quelli più anziani che hanno toccato nella loro fulgida carriera le stelle con un dito, a quelli giovani che invece tra le mani hanno solo voglia, sogni e speranze.

Un progetto di ripartenza dell’Inter deve (e avrebbe già dovuto) aver conto dunque dell’insegnamento che i senatori nerazzurri possono trasmettere alle nuove leve che si apprestano ad indossare la gloriosa maglia della Beneamata. Perché il tempo stringe, e tra cessioni eccellenti e futuri addii si rischia di vedere scemare definitivamente oltre alle prestazioni sul campo dei campioni nerazzurri anche quella mentalità vincente che hanno costruito in anni di successi senza che nessun degno erede abbia fatto in tempo a raccoglierne il testimone.

Ecco perché è importante non chiudere un ciclo, ma cercare piuttosto di rimpiazzare gradualmente gli attori, andare alla ricerca di giovani che abbiano l’ingrato compito di sostituire gli insostituibili Zanetti, Cambiasso, Maicon, Milito, Julio Cesar e tutti i nomi che negli ultimi anni sono diventati grandi e hanno fatto grande, grandissima l’Inter con le loro giocate e la loro voglia di arrivare primi, sempre e comunque. Prima che sia troppo tardi. Prima che il Know How della vittoria, i segreti sul come si arriva davanti a tutti, a tutti i livelli, resti per sempre incastrato nelle menti e negli animi dei nostri amati veterani, senza nessun degno successore pronto a ricevere tali preziosissimi insegnamenti.

Questo sì che significherebbe dissipare un patrimonio. Un patrimonio costruito in anni di sofferenze, sconfitte, delusioni, e duro lavoro, culminati in tre o quattro stagioni da urlo. Un patrimonio costruito da grandi architetti del calcio come Mancini e Mourinho che l’hanno edificato sulle spalle di lavoratori e guerrieri quasi senza tempo, certamente leggendari. Un patrimonio che non si può acquistare con nessuna moneta, un patrimonio che appartiene a pochi, e che ha assoluto bisogno di cuori, menti e gambe fresche  pronte a raccoglierlo e farne tesoro, per evitare che i suoi effetti benefici abbiano avuto la durata di un solo agognato e magnifico sogno.