Non mi vergogno a dirlo e non ho alcun problema ad ammettere di aver sbagliato. Ero tra quelli che sognava Dzeko all’Inter negli ultimi giorni di gennaio, ero tra quelli che avrebbe accompagnato con la macchina Sanchez da Milano a Roma. E sono felice di essere stato smentito.
La mia non era una guerra personale con Alexis, ho sempre tifato per il bene dell’Inter e mai criticato un giocatore per antipatia o simpatia. Il Sanchez della prima parte di stagione però è stato a lunghi tratti “irritante“: tra infortuni vari e una condizione fisica non del tutto impeccabile, sono stati diversi i gol sbagliati e gli errori sotto porta, sulla falsa riga di quanto accaduto già nella passata stagione. Un attacco composto da Dzeko, Lautaro e Lukaku, oltre al dimenticato Pinamonti, sarebbe stato, per il sottoscritto, un upgrade per il rush finale.
L’assenza di Sanchez ha pesato tanto nel reparto offensivo di Conte, costretto a chiedere gli straordinari per quasi un anno e mezzo alla Lula. Sia chiaro, le sue qualità tecniche nessuno le hai mai messe in discussione. Insieme ad Eriksen, è il giocatore dell’Inter con i piedi più educati in rosa. Inoltre è un attaccante diverso da Lukaku e Lautaro, più abile a giocare sulla trequarti, a “ballare” tra centrocampo e attacco e a spaccare in due le difese con le sue giocate illuminanti.
Per questo Conte lo ha sempre difeso e lo ha aspettato. Anche se l’allenatore dell’Inter non si è tirato indietro nell’attaccare Sanchez, anche con parole durissime, con l’obiettivo di spronarlo. “I suoi numeri sono impietosi: sotto porta deve essere più cattivo. Per gli attaccanti parlano sempre i numeri”, l’uscita di Conte dopo l’andata della semifinale di Coppa Italia contro la Juventus.
Da quel giorno Sanchez si è trasformato da brutto anatroccolo alla versione Maravilla. Dalla prova eccezionale tre giorni dopo con la Fiorentina (assist a Barella e passaggio meraviglioso ad Hakimi nell’azione dello 0-2 di Perisic) all’assist per il gol decisivo di Lautaro contro il Torino, nel mezzo la doppietta al Parma e la rete siglata al Genoa. Titolare o subentrato dalla panchina, il cileno ha sempre fatto la differenza nelle ultime partite, contribuendo alla fuga dell’Inter in vetta al campionato. Lo scudetto passa anche dai suoi piedi e dai suoi numeri. Ancora una volta aveva ragione Conte, per fortuna io no.
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