L’INTERTINENTE – Conte e l’Interismo: costante scoperta di una sintonia spontanea
Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurriIn regime di facili deliri, placare gli entusiasmi è l’impegno più complesso che possa mai essere commissionato ad un allenatore, specialmente se l’andamento del collettivo da lui guidato coincide con prove gagliarde e risultati sontuosi; se poi le frenesie sono a tinte nerazzurre, allora il coefficiente di difficoltà aumenta terribilmente. Infatti, sebbene capiti sovente di ricordarlo – su questa testata, ma anche da parte dell’informazione generalista -, la comunità dell’Inter è eterodossa rispetto ai riti delle altre piazze: la vulgata più diffusa vuole che gli ambienti della Roma giallorossa e di Napoli siano la sintesi della incontenibilità per antonomasia, mentre i contesti nordici – capitanati dalla Juventus, dal Milan ed appunto dall’Internazionale – si distinguerebbero per un approccio maggiormente sobrio e distaccato.
Quando si tratta della Benamata, però, i contorni sono decisamente differenti ed alternativi: l’Inter è simultaneamente luce e tenebra, cemento armato ed argilla, ordine e sregolatezza, e il Meazza neroblu è una platea sospesa tra l’adorazione e la dannazione verso tenori del rettangolo verde che, di domenica in domenica, determinano il tumulto o lo sconforto di un pregevolissimo tessuto di passione qual è la Milano interista, che ha il difetto di peccare di una pretenziosità senza eguali non solo in Italia, ma anche in Europa e probabilmente nel Mondo.
Questo tratto piccolo-borghese – da qui, il gene Bauscia – stride con l’anima prettamente popolare e spontanea che è sempre stata il marchio della Pinetina e che oggi è tornata ad essere la principale caratteristica, grazie – manco a dirlo – all’avvento di Antonio Conte e all’inversione di rotta da lui pianificata e condotta. Le parole alla vigIlia della sfida a Fonseca di domani, sono l’ennesimo tributo all’equilibrio nei proclami, che spessissimo e volentieri viene da lui tradotto in grinta esplosiva e forza motrice emozionale durante i 90 minuti di contesa.
Proprio l’influenza esercitata da Conte ha ristabilito una logica di contenimento alla trasversalità delle esasperazioni conseguenti a vittorie e sconfitte, che è storicamente un’eredità ultrasecolare tutta interista e con la quale chiunque sia stato inglobato al pianeta nerazzurro, si è confrontato. Ergo, lodare la capacità di Antonio di incidere sui risultati ed elogiarne la maestria di rivalorizzazione tecnico-tattica tramite faldoni di carta stampata e fiumi di commenti non è ridondante, ma semplicemente riduttivo.
Ad esclusione di Mancini e di Spalletti – il primo facendo leva su un passato glorioso, e il secondo ricollocando la centralità dell’Inter all’intero del pubblico dibattito, entrambi ottenendo i migliori piazzamenti -, negli ultimi 9 anni, Conte è stato capace di saldare ove i predecessori hanno sfaldato, di rattoppare ove è stato scucito, di assemblare ove è stato scorporato; sostanzialmente, la sua è un’operazione di recupero di competitività sportiva e di rilancio dell’immagine internazionale del Biscione.
Vederlo sommerso dai suoi fidi scudieri e dalla selva dei suoi collaboratori – a cui va reso un plauso non solo per la professionalità che ha permesso loro di calarsi perfettamente nei paramenti nerazzurri, ma pure per la carica emotiva che li spinge oltre l’area tecnica dopo ogni marcatura e che non è un’esagerazione definire commovente – nell’istante immediatamente successivo ad una rete e al fischio finale che decreta un successo, è il sentore dello spirito che sta applicando e il fatto che abbia così rapidamente assimilato la foga Nero e Blu è sintomatico che, probabilmente, l’immutabile codice genetico dell’Inter si addica a Conte, e che Conte sia praticamente l’incarnazione di ciò di cui l’Inter aveva ed ha bisogno per risalire la china.
Per non parlare, inoltre, della abilità nel rimaneggiare moduli ed uomini a seconda delle circostanze: falcidiato dagli infortuni e dunque costretto dalle troppe assenze a mischiare settimanalmente il mazzo, il tecnico leccese sta eccellendo nella scelta degli interpreti e ha portato la squadra ad essere ancora in corsa per gli Ottavi di Finale della Champions League e a comandare la graduatoria della Serie A; per di più, c’è la nota positiva di un attacco che ha trasformato da potenzialmente insidioso a granitico, stimolando i refoli di classe di Lautaro Martinez e sprigionando la potenza stratosferica di Romelu Lukaku.
Quando anche la difesa – a partire dalle defezioni di Skriniar, che ha mostrato qualche timidezza in un’impostazione a 3 – sarà collaudata, l’Inter potrà davvero iniziare a pensare in grande, con un occhio al mercato di riparazione di gennaio e nella speranza di innestare nuovamente le pedine smarrite lungo il percorso, Sensi e Barella in primis.
Perché magari trionfare da subito sarà impossibile, ma c’è necessità di notti come quella di Praga e di pomeriggi come quelli di domenica contro la SPAL per continuare ad arricchire la letteratura dell’Interismo, i cui capitoli strabordano di fede e narrano d’amore.
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