L’Inter che prosegue nell’inseguimento ad un Milan irrefrenabile – il successo di Benevento è un ulteriore avvicinamento al compimento dell’anno di imbattibilità – e che ricomincia da dove aveva concluso – un’ennesima perla nella catena delle vittorie consecutive, ora a quota 8 -, è finalmente il giusto dosaggio fra l’immensa mole di occasioni prodotte e la capacità di saperle concretizzare, nella totalità di una quadratura tattica che ora sembra aver trovato i propri equilibri.
I 6 assoli rifilati al Crotone, pur se d’autore e riconducibili ai lampi di Lautaro e alla maestosità di Lukaku, sono l’attestato di maturità di una squadra che può contare su un arsenale offensivo dirompente e talentoso, e che gara dopo gara si sta confermando essere uno dei più prolifici, temuti ed efficaci d’Europa.
Poi, il pacchetto arretrato procede a fornire garanzie importanti, sebbene le reti subite ieri, anche se in situazioni da palla inattiva: la cerniera Skriniar-De Vrij-Bastoni è un’assicurazione di affidabilità, potenza e tecnica difficile da sindacare e da migliorare, perché combina magistralmente la prestanza dello slovacco, le geometrie dell’olandese e la qualità dell’italiano, in una sinfonia di affiatamento di rara comparazione.
Ciò che ha realmente svoltato la ultime partite, però, è l’incisività del centrocampo, riaprendo un dibattito quasi accademico sulla funzionalità di interpreti che in quell’area nevralgica sappiano dettare tempi, impostare manovre e cucire trame, quali viatico di successi. Proprio in questo settore, due volti occupano la scena: quello barricadiero e guerrafondaio di Arturo Vidal, e quello mogio ed innocente di Stefano Sensi.
Nonostante sia un argomento inflazionato e tendente al ripetitivo, il cileno – inutile nascondersi – è la più grande delusione della prima parte di stagione, sia da un punto di vista carismatico, sia nell’analisi del suo apporto. Dopo aver disatteso le aspettative di Antonio Conte – gli stizziti commenti rivoltigli dall’allenatore in rapida successione al rigore causato, ne sono la prova – che gli ha affidato la trasposizione in campo del suo piano tattico e lo ha investito del ruolo di guida psico-emotiva dei suoi compagni, Vidal non è riuscito a smentire i dubbiosi sul suo approdo in nerazzurro, ed anzi ha anche debilitato le convinzioni di chi lo vedeva come il coronamento di un progetto da Conte avviato un anno fa.
Malgrado le limitazioni di una collocazione che ne ridimensiona abilità e propensioni, ingenuità balorde – vedi l’esordio in Champions League col Borussia e l’altro ieri -, nervosismi puerili – vedi un mese e mezzo fa a San Siro contro il Real Madrid -, e prestazioni sottotono non depongono a favore dell’ex blaugrana, che ad oggi rappresenta più un intralcio alla esecutività e alla rapidità della proposta di gioco interista, che una risorsa.
Per converso, invece, Sensi riesce ad essere la leva per sollevare la pericolosità dell’Inter e la sveglia per destarla dal torpore: la staffetta di domenica pomeriggio è l’esempio di come le idee e il fosforo del numero 12 siano vitali per la realizzazione dei voleri di Conte. L’approccio giusto e la dote di sapersi sempre calare in qualsiasi circostanza sono state le chiavi risolutive dei trionfo su Napoli, Spezia, e Crotone, e potrebbero divenire il paradigma principe dell’identità interista, e non per forza a partita in corso.
Qualità queste che sono state già apprezzate all’inizio dell’annata passata, e che sono state frenate solo dai danni fisici oramai conclamati. Se la condizione atletica dovesse, dunque, reggere, un’ampia percentuale dei problemi dell’Inter sarebbe dimenticata, e l’augurio è che, appunto, l’integrità di Sensi e la continuità dell’Inter – equazione che ha già trovato riscontro – viaggino su identici binari, nei quali si aspetta anche il vero Vidal. Prima o poi.
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